Un breve riassunto di quanto scritto nel post della scorsa settimana: alla fine del 2014, la rivista HBR ha eletto Jeff Bezos miglior CEO del mondo. Ciò in virtù dell’indiscussa capacità del leader di Amazon di apportare valore alla propria organizzazione, portandola a una consistente crescita economica.
Rimaneva in sospeso un altro quesito: è giusto valutare un CEO, la sua qualità di management e di leadership, per fattori meramente economici?
Per i mercati azionari e gli shareholder la risposta è affermativa, come visto. Ma per l’opinione pubblica e la società nel suo complesso? Certamente no.
Il problema è, semmai, misurare correttamente altri fattori, come la qualità dei prodotti e dei servizi offerti, l’innovazione, l’integrazione nel tessuto sociale, la leadership, la governance, l’ambiente di lavoro, la reputazione e le performance, facendolo in modo asettico e statisticamente valido.
Qui interviene il Reputation Institute e il RepTrak scorecard. Che misurano, per l’appunto, i sette fattori sopra citati.
La classifica, alla luce di queste nuove informazioni, verrà rivoluzionata?
Chi sono i CEO più lungimiranti?
In prima posizione Jeff Bezos lascia spazio al CEO di Novo Nordisk, Lars Sorensen. Le sue prestazioni economiche, già ottime (era sesto nel ranking) sono addirittura eccellenti quando si parla di reputazione.
Al secondo posto l’amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, mentre chiude il podio James Taiclet di American Tower.
Jeff Bezos non sfigura ma neppure eccelle, arrivando soltanto tredicesimo, probabilmente penalizzato da alcuni scandali sulle condizioni di lavoro nei centri di spedizione Amazon.
Ben peggio va invece al CEO di Monsanto, Hugh Grant, ultimo nel ranking di reputazione a causa delle numerose critiche legate, in particolare, alle guerre dei brevetti e allo scetticismo sugli OGM.
Quanto contano i fattori economici e non nella percezione di un’azienda?
Un altro aspetto interessante di questa indagine è il “supporto” che la società riconosce alle aziende, inteso come il desiderio di lavorare per quella stessa azienda, di comprare i suoi prodotti o di investire i propri risparmi nelle loro azioni.
Gli esperti del Reputation Institute hanno stimato che questo è influenzato per il 35% circa dalle prestazioni economiche, e per il 65% da quelle non economiche. Il calcolo ponderato avvantaggia quindi chi ha curato maggiormente la reputazione e l’integrazione della propria azienda nel tessuto sociale, rispetto a chi ha mirato dritto al solo profitto.
Una nuova classifica, ponderata
Con una classifica pesata su questi presupposti, quali sono i risultati?
In testa, come prevedibile, c’è ancora una volta Novo Nordisk, ben piazzata in entrambe le classifiche. Al secondo posto sale invece James Taiclet di American Tower, che si avvantaggia di un ottimo reputation score. Jeff Bezos completa il trio di testa a dispetto del tredicesimo posto nella reputazione.
Notevoli i balzi in avanti per Coloplast e Associated British Foods (+63 posizioni), così come per Volkswagen (+68). Malissimo, oltre a Monsanto (-74), Fast Retailing (-66).
Ciò dimostra anche che le performance economiche non influenzano la reputazione di un’azienda, così come quest’ultima non dà (sfortunatamente) benefici automatici nei profitti.
Si tratta di un voto all’azienda o al CEO?
Per quanto le performance siano chiaramente misurabili soltanto sull’azienda e non sui propri amministratori, ci sono almeno due fattori che confermano la causalità:
- come affermato nel precedente post, moltissime delle aziende sono guidate da 10 anni o più anni dai CEO attualmente in carica. Un tempo più che sufficiente per lasciare un’impronta sulla gestione, economica e non
- chi, meglio del manager più alto in grado, conosce e orienta le azioni della propria società, nella buona come nella cattiva sorte?
Quale ritieni sia il miglior indicatore numerico della qualità della leadership in un’azienda? Partecipa al dialogo utilizzando l’hashtag #spiritoleader!