Tassi di interesse negativi? Mai visto prima

Parte oggi su #spiritoleader una nuova sezione a cura del professor Fabio Sdogati, recentemente protagonista di un dibattito sul Quantitative Easing che l’ha visto “contrapposto” al professor Marco Giorgino.

Per chi ancora non lo conoscesse, il professor Sdogati è docente nei Master offerti dal MIP Politecnico di Milano, per i quali è responsabile degli insegnamenti di Economia Internazionale. Sul suo blog, Scenari Economici, propone il suo originale punto di vista sugli effetti delle più recenti politiche economiche e monetarie.

Nelle prossime settimane riprenderemo  alcuni di questi temi, contestualizzandoli in un ragionamento più ampio, per cercare di dare utili spunti ai nostri lettori su come l’economia si sta muovendo, quali saranno le opportunità e quali i rischi.

Tema di questa settimana sono i tassi di interesse, ormai arrivati ai minimi storici e addirittura divenuti negativi per i Bund con scadenze inferiori ai 10 anni. I prestiti sono, per contro, diventati sempre più convenienti, ma possono avvantaggiare le imprese che decidono di finanziarsi ed espandersi in questo momento? O gli scenari economici, per riprendere il titolo del blog di Sdogati, ancora non lo consentono?

Di seguito l’opinione di Sdogati. Condividete la vostra sul blog o sui social network attraverso l’hashtag #spiritoleader!

Chi segue lo sviluppo dei miei pensierini sa che sto ben attento a tenere separate fede e ragione, e che in apertura di ogni riflessione cerco di fornire il quadro concettuale entro cui pensiamo –un quadro che, ovviamente, sostengo essere diverso da quello entro cui dovremmo pensare.

Dunque, tassi di interesse negativi. Dal 17 aprile, tutte le obbligazioni del governo tedesco con scadenza inferiore a dieci anni pagano rendimenti negativi, e il decennale paga un rendimento di poco superiore allo 0% ed è sulla strada del negativo anch’esso. Poche settimane fa la Banca Nazionale Svizzera ha emesso debito nuovo a rendimento negativo. Perfino nei paesi ad altissimo indebitamento, assoluto e relativo al pil, come l’Italia, i rendimenti sono bassissimi e discendenti. Come pensiamo a questo fenomeno, mai visto prima su questa scala?

Torniamo a come pensavamo prima del 2007, prima dell’inizio di quella Grande Recessione che ci ha portato a questa situazione. Quel che insegnavamo era che il rendimento di un’obbligazione, il ‘tasso di interesse’ in generale, è il ‘costo opportunità del detenere liquidità’, cioè il costo che il debitore paga al creditore per compensarlo della perdita (presumibilmente temporanea) di liquidità che quest’ultimo subisce proprio perché la dà a prestito. Da un altro punto di vista l’interesse, che assume la forma di cedola, è una forma di garanzia che almeno una parte del capitale verrà rimborsata ad intervalli periodici a partire da subito dopo l’emissione dell’obbligazione, così che il creditore possa vedersi rimborsato in parte ben prima della scadenza del contratto. La liquidità, messa a disposizione dai privati o immessa nel sistema delle banche commerciali dalla Banca centrale, veniva ‘trasformata’ in credito per le imprese e le famiglie.

Bene. Limpido. Ci credevamo. O meglio, sembrava tanto razionale che eravamo indotti a crederci. Poi viene l’agosto 2007, le banche cessano di darsi a prestito a qualunque tasso di interesse, crisi del credito. Le banche centrali alluvionano il mondo di liquidità, i tassi di interesse con cui esse erano abituate a guidare l’offerta di moneta vanno a zero, entriamo in trappola della liquidità. Cioè? Cioè i tassi di interesse sono talmente bassi, al limite dello zero, che politiche di ulteriore espansione della liquidità non hanno effetto sul mercato del credito. Diciamo, in gergo, che ‘il meccanismo di trasmissione della politica monetaria non funziona più’. Vero? Falso? Boh.

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