Moderato, affabile e inclusivo: se dovessimo descrivere il carattere del leader contemporaneo lo definiremmo così, in equilibrio tra l’indulgenza e l’entusiasmo.
Eppure, secondo le ultime ricerche in tema di leadership, la personalità accondiscendente sembrerebbe stridere con la posizione di Top Manager: essere troppo affabili, insomma, potrebbe essere un’arma a doppio taglio, capace di frapporsi tra un bravo professionista e la sua scalata alla dirigenza.
I motivi? Li scopriamo insieme.
Accondiscendente e cordiale: sinonimi di poco polso?
Secondo una ricerca condotta da Truity Psychometrics – una società californiana specializzata in analisi della personalità – i leader si dividono in due macro-categorie: ci sono i “razionali”, che approcciano la vita in ufficio con mente logica e visione analitica, e gli “emozionali”, che proiettano sul gruppo di lavoro le calde dinamiche amichevoli e familiari, mettendo in campo comprensione e ascolto.
Ebbene, secondo le indagini di Truity, i leader “emozionali” risultano gradevoli e apprezzati dal team, ma raramente premiati dai vertici perché considerati non sempre avvezzi a fornire feedback oggettivi, soprattutto se severi, e troppo concentrati sugli altri per mettersi in luce.
Al contrario, i leader “razionali”, poco proiettati verso le necessità del team, tengono alto il focus su sé stessi e valorizzano il proprio lavoro, attivando una vera e propria campagna promozionale personale.
Ma attenzione: perché un leader troppo ruvido rischia di creare attorno a sé un clima di paura e di fare terra bruciata. Nel momento del bisogno, il leader che ha seminato il gelo potrebbe ritrovarsi solo, a capo di un gruppo che non lo riconosce e che non è motivato.
Qual è l’equilibrio vincente, quindi?
Gentilezza e autorità: il mix giusto per crescere
Razionali o emozionali? Amati o odiati?
Secondo Art Markman, professore di psicologia e marketing all’Università del Texas, il focus va spostato dal livello sentimentale al piano della fiducia: non importa essere apprezzati o detestati, ciò che conta è essere rispettati e seguiti. Del resto, ricoprire una posizione manageriale significa fare le veci dell’azienda e promuovere gli obiettivi d’impresa, conducendo la squadra lungo task e progetti anche complessi. Di fronte ad un leader credibile e che riveste l’identità della Company, quindi, le risorse tenderanno ad obbedire e a mettere in pratica le indicazioni ricevute, lavorando con commitment e dedizione. Tutti indicatori interessanti per l’impresa che deve scegliere i professionisti da premiare e da eleggere a Top Manager.
La personalità migliore per infondere fiducia? Secondo gli esperti, quella che ha una base dominante e autorevole, e che è capace di aprirsi – talvolta – a sprazzi di empatia e cordialità.
Questo leader è apprezzato dai suoi dipendenti – e premiato nel percorso di crescita – non perché crea un clima socievole in ufficio, fatto di scherzi e leggerezze, ma perché sa gestire le risorse in modo equo, meritocratico e attento. Questa categoria di manager sa ascoltare, sa comunicare in modo oggettivo, stimola fiducia e credibilità e genera un forte senso di coesione: il team si sente parte di un progetto e percepisce una guida attiva e presente, volta ad una missione collettiva.
Onestà, trasparenza e visione aziendale: ecco le 3 doti che un buon leader dovrebbe avere per superare lo scoglio del giudizio altrui – sarò amato o odiato dal mio team? sono abbastanza popolare? – e rivestire al meglio il ruolo assegnato. L’obiettivo? Guidare la squadra, chiaramente, ma anche mettersi in luce rispetto ai vertici.
Autorevole ed efficace, con punte di cordialità: questo leader pragmatico merita il titolo di Top Manager.