A cura di Dhebora Mirabelli e Alessio Muccini.
Su Harvard Business Review di aprile 2015 Andrea Granelli, esperto di innovazione e presidente dell’Associazione dell’Archivio Storico di Olivetti, propone la tesi della “femminizzazione” delle organizzazioni, non considerando sufficiente una maggioranza o più incisiva presenza femminile nelle aziende. L’analisi parte dal presupposto che l’ormai prolungata crisi economica che sta attraversando il nostro Paese non può non far dubitare della validità dei tradizionali modelli organizzativi e di leadership aziendali in cui si ritrovano ancora molto spesso i caratteri stereotipati maschili.
Tutto ciò, a favore di una nuova strada che porta verso un organizzazione di impresa “androgina”.
Ancora oggi in piccole e grandi aziende, nel nostro Paese, vengono troppo spesso premiate le caratteristiche che contraddistinguono gli uomini: assertività, capacità di dominare, forza, ecc…
Si considerano professionalizzanti le prolungate ore dedicate al lavoro e de-qualificanti, oltre che dannose, le forme di lavoro flessibili, il part-time, la c.d. banca ore, i congedi parentali e qualsiasi altra forma che favorisca o promuovi la conciliazione vita/lavoro.
Tutto questo, si riflette negativamente non solo sulla scarsa partecipazione delle donne alla vita economica del Paese ma rafforza la famosa teoria dei c.d. “tetti di cristallo”. Quest’ultima, è basata sulla mortificazione nei sistemi di incentivazione e nella profilazione delle figure ai vertici e, a volte, nella completa assenza di attenzione , delle caratteristiche appartenenti al genere femminile tra quelle necessarie per avere successo e occupare posizioni apicali.
Sempre più persone, oggi, ritengono che il problema della parità di genere nel mercato del lavoro non sia tanto legato ad un problema di quote o meccanismi premianti ma di valori fondanti l’intera organizzazione. E’ indubbio che esista una differenza fra generi (maschile e femminile) così come è indubbio che uomini e donne hanno un approccio al lavoro differente.
La questione è valorizzare in egual misura le caratteristiche di entrambi in modo da trasformare l’ambiente di lavoro in un ambiente più sano e “high-performing”.
Partecipando alla Conferenza stampa organizzata dall’Associazione PNICube, dello scorso 5 ottobre 2015, ci si è resi conto come di fatto questo possa già considerarsi una fattiva trasformazione culturale avviata.
Un ruolo fondamentale nella partita di sicuro lo giocano:
- il mondo delle grandi imprese nel settore delle multiutility, come IREN, quando il suo Presidente, Francesco Profumo, considera il fattore donna elemento di innovazione per un modello di holding industriale come la sua, affermandolo con convinzione e vigore durante l’evento sopra citato.
- il mondo accademico quando, decidendo di sponsorizzare un Premio dedicato alle Pari Opportunità nell’ambito della competition Premio Nazionale per l’Innovazione 2015, enunciandone le motivazioni, si esprime in questi termini:
“…perché siamo una Business School che mira ad essere:
- maggiormente attenta all’innovazione (tecnologica e non solo) e alla creazione di una nuova tipologia, anche organizzativa, di impresa come motore indispensabile per la crescita economica;
- pronta a fare auto-critica ai tradizionali modelli di funzionamento alla quale si è abituati, al fine di meglio incidere concretamente e fattivamente sulla comunità, nazionale ed internazionale, con cui ci si relaziona;
- sensibile e inclusiva rispetto la propria Community Alumni, considerata uno stakeholder attivo sollecitatore di processi di innovazione e non solo un “business network”;
- convinta ed entusiasta della propria mission di trasferimento di competenze altamente performanti sul panorama economico, professionale e etico-sociale dei propri studenti tanto da investire continuamente in processi di rinnovamento…”
(Prof. Davide Chiaroni- delegato della Graduate Business School del MIP)
• il mondo istituzionale, come il Dipartimento Pari Opportunità e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che abbandona l’autoreferenzialità e scende in campo per costruire network ed intese con chi si fa portavoce di una nuova domanda di fabbisogno del mercato dei giovani in cerca di occupazione e affermazione professionale;
• l’Associazionismo capillarmente diffuso sul territorio nazionale e di respiro internazionale, come PNICube, che con iniziative come quelle promosse e messe in campo si fa portavoce di una battaglia pronta a demolire lo stereotipo dell’incapacità italiana di fare rete e promuovere grandi cambiamenti culturali.
Questa è la nuova innovazione culturale che forse ci si proporrà di infondere con nuovo vigore e una veste più moderna nelle realtà imprenditoriali, nel mondo accademico e in quello istituzionale. Fare rete, significa alimentare esternalità positive, generare economie di scala, realizzare azioni collettive in contesti di crisi che diversamente rimarrebbero alla staticità contrastando con quell’idea di dinamismo intrinsecamente legata allo stesso concetto di innovazione… e se in tale ottica partissimo innovando l’innovazione?
Il VIA è proprio la tesi dalla quale siamo partiti: la “femminizzazione” dell’organizzazione di impresa!