La CSR è anche un vantaggio economico: intervista con il Sottosegretario di Stato Luigi Bobba.

Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba con delega del Ministro Poletti dell’8 maggio 2014, si occupa di terzo settore e di formazioni sociali, ma anche di servizio civile, di politiche giovanili e di formazione, orientamento e servizi per il lavoro.

“Sono – è il suo primo commento – deleghe importanti e qualificate, su temi che ho approfondito anche negli anni passati: cercherò di mettere tutto l’impegno necessario per prendere decisioni rapide ed efficaci”.

Secondo il sottosegretario le tematiche del welfare necessitano sicuramente di riforme incisive e nuovi impulsi sui quali sta lavorando sin dal suo insediamento. Fra le sue priorità l’affermazione della centralità del terzo settore, la lotta alla disoccupazione giovanile con politiche attive che possano favorire l’occupazione, la riorganizzazione dei servizi per il lavoro.

Abbiamo ritenuto importante inaugurare la sezione MIP@CSR dedicata agli approfondimenti con gli esperti con un’intervista al Sottosegretario di Stato sui contenuti delle direttive europee in tema di comunicazione dei dati non finanziari da parte delle imprese, la riforma in atto sul Terzo Settore e i caratteri di una leadership sempre più attenta ai temi etici, sociali e ambientali.

Rivolgendo pubblicamente un ringraziamento personale al Sottosegretario Luigi Bobba e al suo staff di segreteria per la disponibilità e l’occasione di confronto e approfondimento offertaci, auguriamo a tutti buona lettura!

Dhebora Mirabelli e Alessio Muccini

Responsabilità Sociale di Impresa: un tema sempre più oggetto di dibattito e riforme in Europa e in Italia. Quali secondo lei gli aspetti più critici per le nostre aziende che dovranno attuare la modifiche della direttiva 2013/34/Ue sulla base della nuova direttiva 2014/95/UE del 22 ottobre u.s.?

Occorre considerare, in via preliminare, che la Direttiva 2013/34/UE del 26 giugno 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio ha abrogato le precedenti Direttive in materia di bilanci annuali e consolidati (Direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio), costituendo, a partire dallo spirare del termine di recepimento, l’unico atto legislativo dell’Unione europea cui dovranno conformarsi gli Stati membri nel definire i propri ordinamenti contabili. Il termine di recepimento per la nuova Direttiva è fissato al 20 luglio 2015, con previsione di applicazione delle relative disposizioni a partire dagli esercizi finanziari aventi inizio il 1° gennaio 2016 ovvero nel corso del medesimo anno.

In particolare, la Direttiva 2013/34/UE ha inteso unificare la disciplina applicabile al bilancio d’esercizio con le disposizioni che governano il bilancio consolidato. Tali documenti dovranno contenere al loro interno caratteristiche di accountability e di trasparenza nelle relazioni consolidate (assimilabili ai bilanci sociali) in modo che vi sia effettiva rispondenza con quanto dichiarato nei bilanci (consolidati) di riferimento. Questo aspetto assume grande rilevanza, in quanto risponde sia alle esigenze dei cittadini e delle associazioni di categoria (in particolare quelle che riuniscono i consumatori, i sindacati ed anche le organizzazioni del Terzo settore), delle imprese (di ogni dimensione), che alle indicazioni contenute nei documenti europei in materia di responsabilità sociale delle imprese che i singoli Stati membri – inclusa l’Italia – hanno ripreso nei rispettivi Piani d’azione (2012-2014).

Sotto tale profilo non si rilevano aspetti di particolare criticità, in quanto il “dare conto” anche di taluni aspetti non finanziari costituisce un punto importante per individuare quelle imprese che attuano comportamenti responsabili e sostenibili che non siano direttamente collegati all’incremento del fatturato dell’impresa, ma quanto piuttosto alla consapevolezza di come i temi non finanziari generano anche nei lavoratori e nei consumatori comportamenti consapevoli e responsabili, alimentando un ciclo virtuoso che coinvolge l’impresa, i suoi lavoratori e la comunità intera.

In merito alla tipologia delle informazioni di carattere non finanziario rilevanti che negli ambiti circoscritti devono essere comunicate, la recente normativa europea sembrerebbe, lasciare discrezionalità all’impresa in relazione alla loro attività di valorizzazione economica. In verità, all’art. 2 della direttiva precedente 2013/34/UE, si definisce rilevante quell’informazione la cui omissione o erronea indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli altri utilizzatori rispetto al bilancio dell’impresa. Qual è la sua personale e autorevole interpretazione sulla questione?

Le novità introdotte dalla Direttiva 2013/34/UE si inseriscono in un processo di semplificazione che mira a fornire agli interessati un’informativa di bilancio, differenziata in base alle dimensioni delle imprese, attraverso i seguenti obiettivi specifici: ridurre gli oneri amministrativi a carico soprattutto delle piccole e medie imprese e semplificare la relativa disciplina; migliorare la comparabilità dell’informativa resa con i bilanci; tutelare l’interesse degli utilizzatori dei bilanci a una corretta rappresentazione delle informazioni contabili più rilevanti; migliorare la trasparenza relativa ai pagamenti effettuati ai governi da parte delle grandi imprese e degli enti di interesse pubblico attivi nelle industrie estrattive o che utilizzano aree forestali primarie.

Da ultimo, occorre considerare che la più recente Direttiva 2014/95/UE modifica la Direttiva 2013/34/UE in merito alla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità, relativamente alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa.

A partire dal 2017 si introduce la obbligatorietà per le imprese di grandi dimensioni, che costituiscono enti di interesse pubblico e che alla data di chiusura del bilancio presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500 unità, di comunicare sui temi non-finanziari, ovvero fornire una serie di informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività.

In questo caso l’approccio confermato è quello del cd. “comply or explain” (il cd. principio di conformità o spiegazione, derivante dal diritto societario europeo, in base al quale è possibile spiegare le ragioni dell’eventuale mancato adeguamento ad una o più raccomandazioni), per cui l’impresa che non ha una politica specifica su una delle aree non finanziarie evidenziate, è tenuta a fornire una spiegazione trasparente e chiara di tale assenza. Le imprese dovranno in particolare pubblicare un dichiarazione non finanziaria da allegare al bilancio annuale.

È possibile anche che le informazioni richieste siano pubblicate in un vero e proprio report (qualora l’azienda lo rediga) ovvero siano integrate nel bilancio annuale, purché rispettino i requisiti previsti dalla stessa Direttiva 2014/95/UE.

Una novità che lei ha anticipato meritevole di approfondimento ci sembra essere il riferimento all’importanza di rendere note anche le informazioni specificatamente alla c.d. “diversità”, ovvero, informazioni sul genere, l’età, sulla distribuzione geografica e sul background formativo dei componenti dei propri organi direttivi e di controllo.

Il presupposto sembra essere suffragato da numerosi studi e ricerche, che affermano che la mancanza di eterogeneità, valori, competenze e opinioni contribuisca ad impoverire le idee, scoraggiare il confronto e quindi il dibattito a discapito dell’adozione di strategie innovative. Cosa si aspetta emerga dalle grandi aziende italiane da informazioni di questo tipo e quali suggerimenti darebbe?

È necessaria la sensibilizzazione delle imprese su questi temi e, con riferimento alla promozione e diffusione della CSR, si evidenzia che già nel Piano di Azione Nazionale sulla Responsabilità sociale delle imprese, adottato dal Governo italiano per il periodo 2012-2014 e attualmente in corso di aggiornamento per il prossimo biennio, i temi contenuti nelle due direttive sono già presenti e riguardano i tre paradigmi degli ambiti della sostenibilità: ambientale, sociale, finanziaria ed economica delle PMI e delle grandi imprese.

In particolare questi aspetti si riconducono a tematiche molto importanti per il nostro tessuto sociale e produttivo, quali le condizioni dei lavoratori, il rispetto dei diritti umani, le pari opportunità, il contrasto alla corruzione e all’illegalità attiva e passiva, la trasparenza e la divulgazione delle informazioni economiche, finanziarie, sociali e ambientali.

Queste attività di sensibilizzazione si realizzano attraverso uno stretto raccordo che coinvolge le varie amministrazioni nazionali competenti su questi temi (in primis il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quello dello sviluppo economico), le Regioni, le imprese e le organizzazioni di Terzo settore.

La Responsabilità sociale nasce come insieme di comportamenti assunti “spontaneamente” da parte delle imprese, anche in assenza di specifiche forme di incentivazione per la realizzazione di tali comportamenti. Tuttavia alcune prime iniziative, soprattutto a livello regionale, negli ultimissimi tempi hanno previsto la possibilità di riconoscere punteggi aggiuntivi nell’ambito di procedure per l’assegnazione di appalti pubblici ad imprese che fossero in grado di rispettare specifici standard di condotte socialmente responsabili.

E sono sempre più numerose le Amministrazioni che inseriscono criteri sociali e ambientali nei bandi per l’attribuzione di fondi strutturali comunitari, in particolare nell’ambito della formazione, ovvero negli avvisi per finanziare innovazione e sviluppo. In questa prospettiva, tra gli obiettivi futuri, in particolare a livello comunitario, vi è anche quello di individuare possibili modalità di promozione e sostegno di questo tipo di iniziative realizzate dalle imprese che possano concorrere ad una maggiore diffusione di comportamenti socialmente responsabili.

Rispetto a questo ultimo aspetto in materia di appalti sociali, si discute molto ultimamente della necessità di introdurre meccanismi incentivanti il reporting sociale più incisivi. Confindustria ha proposto di coordinare quest’ultimo con il ranting legalità n modo capillare e omogeneo/uniforme. Quale la posizione e l’impegno del Governo in tal senso?

Lo strumento promosso – a partire dall’anno 2012 – dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per valorizzare le imprese sane e virtuose, consente l’apertura di una corsia preferenziale nell’acquisizione degli incarichi da parte delle amministrazioni pubbliche, prefigurandosi quale fattore premiante in due momenti fondamentali e significativi nella vita di un’impresa: l’inserimento nel sistema dei finanziamenti pubblici e l’accesso al credito.

Con l’attribuzione del rating di legalità, si sancisce il riconoscimento ufficiale del valore etico di un’impresa che valorizza la legalità. Si tratta di un contrassegno fondamentale per togliere spazio vitale all’economia distorta imposta dalla criminalità organizzata, favorendo, in termini di priorità nell’aggiudicazione degli appalti pubblici e di accesso al credito, le aziende dotate di sistemi anti-corruzione e di codici etici, quelle che denunciano il racket o che aderiscono fattivamente alle associazioni della criminalità organizzata.

Dal punto di vista della responsabilità sociale d’impresa, l’introduzione di un rating per le imprese che rispettano le leggi, sfuggono a comportamenti collusivi con la criminalità organizzata ovvero denunciano tentativi di infiltrazione, rispecchia una nuova presa di coscienza sul tema, anche da parte delle associazioni di categoria già, peraltro, evidenziata nei cosiddetti protocolli di legalità e codici interni adottati da diverse istituzioni.

A partire da gennaio 2015, il Ministero dello sviluppo economico, che ospita il Punto di Contatto Nazionale per la diffusione delle linee guida OCSE sulle responsabilità sociale delle imprese (di cui fa parte anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali), ha avviato un progetto finalizzato proprio a sensibilizzare le imprese nazionali al rating di legalità.

Questa premessa consente di evidenziare la stretta correlazione che intercorre tra il rating di legalità e il reporting sociale, poiché entrambi rilevano il valore etico e sociale di un’impresa e pertanto attestano l’assolvimento di doveri di natura sociale ed etica, andando oltre l’aspetto “reddituale e del fatturato”.

La responsabilità sociale d’impresa e il suo principale strumento di comunicazione, il bilancio/reporting sociale, in stretta analogia con il rating di legalità, hanno proprio lo scopo di “raccontare” e “dare conto” di ciò che l’impresa realizza per l’ambiente che la circonda e per i suoi portatori d’interesse.

Pertanto, sarebbe auspicabile che l’ipotesi avanzata da Confindustria venga esaminata dagli attori istituzionali e dai portatori d’interesse con molta attenzione, anche per evitare frammentazioni ulteriori su un tema – come la CSR – che incrocia le competenze di diverse Amministrazioni, centrali e locali.

Il suo pensiero, pubblicamente espresso in diverse interviste ed interventi, è che la CSR per le imprese deve essere percepita come un vantaggio economico. L’associazione che a noi studenti di un Executive Mba viene alla mente è alla teoria del vantaggio competitivo di Porter e al suo auspicio che nel 2017 si potesse finalmente parlare di Corporate Social Opportunity. Ci puo’ spiegare come il Governo italiano oggi potrebbe accelerare questa percezione nei manager che viceversa considerano la CSR una mera voce di costo?

Vorrei intanto precisare che la CSR rappresenta un vantaggio economico solo ed esclusivamente se viene realizzata attraverso un approccio “culturale”, collegato ad azioni concrete e a risvolti di natura sociale e ad impatto sostenibile per il territorio. Diversamente se si cadesse nell’errore di prendere in considerazione unicamente il vantaggio economico, le imprese sarebbero orientate ad assumere comportamenti collegati al marketing sociale (che rappresenta unicamente uno strumento e una strategia di comunicazione), il cui obiettivo è invece quello di influenzare un gruppo di destinatari per modificare o abbandonare in modo volontario un comportamento allo scopo di ottenere un beneficio per i singoli, i gruppi o la società nel suo complesso.

Ciò che caratterizza invece l’approccio alla CSR, è una visione d’insieme assai più marcata, che porta le imprese a guardare non più solo allo sviluppo delle proprie attività e all’incremento degli utili, ma anche alle esigenze dei territori in cui operano. Questo si traduce nell’adozione di comportamenti e di scelte strategiche in grado di conciliare gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali, in primis del territorio di riferimento.

Sviluppare comportamenti socialmente responsabili significa anche creare le premesse per una concorrenza leale ed eticamente trasparente, anche nella prospettiva di promuovere un sistema di protezione sociale moderno, efficace ed efficiente.

Gli Stati dell’Unione sono chiamati a realizzare un vero e proprio investimento culturale su questi temi, che coinvolga in modo “corale” cittadini e imprese in quanto appartenenti alla stessa comunità e finalizzato ad adottare comportamenti socialmente ed eticamente sostenibili per una società più inclusiva e coesa, anche in relazione a quanto indicato nella Strategia Europa 2020 e nella nuova Programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020.

La nostra convinzione è che proprio attraverso questo rinnovato paradigma culturale la CSR non sarà più percepita come un costo o come un onere ulteriore “richiesto” alle imprese, quanto piuttosto come un elemento di valore, che arricchisce l’impresa aiutandola a crescere e a radicarsi nella comunità e nel territorio di riferimento.

Impresa sociale e Innovazione sociale: ci spiega in poche battute il ruolo importante che potrebbe giocare il Terzo Settore su queste partite nei prossimi anni?

Innanzitutto un chiarimento: quando parliamo di innovazione sociale intendiamo non l’innovazione nelle politiche sociali ma in modo più ampio l’innovazione nella società; l’impresa sociale è la parte del terzo settore che sviluppa una dimensione più imprenditoriale.

Alla luce di ciò il Terzo settore, soprattutto mediante la sua parte più imprenditoriale, le imprese sociali, ma anche attraverso altre organizzazioni che sviluppano attività produttive, crea innovazione sociale contribuendo alla soluzione di problemi economici e sociali con un contributo che può essere a volte concorrenziale (aumentando la concorrenza e la possibilità di scelta per i consumatori) a volte cooperativo con gli altri attori dello sviluppo, a complemento e a rafforzamento della loro azione.

Questo perché le organizzazioni del terzo settore possono accedere a risorse umane, finanziarie ed organizzative che non sono normalmente alla portata di altri tipi di imprese e istituzioni.

Quali sono nel concreto le potenziali sfere d’azione? Si pensi a tutti quei servizi ad alto impatto sociale e creazione di nuovi posti di lavoro: nei servizi alla persona e di welfare, socio-sanitari, inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, servizi ambientali, turismo, tempo libero, agricoltura sociale e produzione distribuita di energia.

Considerata la sua esperienza e l’importante ruolo istituzionale che riveste, una leadership innovativa e socialmente responsabile quali caratteristiche imprescindibili dovrebbe avere?

Skills che per il Sottosegretario Bobba non dovrebbero mancare a tutti i futuri “leader solidali” nostri lettori sono in 3 parole

  • COOPERATIVA: capacità di mettere insieme, di unire le forze (interne al terzo settore ma anche con imprese e istituzioni pubbliche) per ottenere risultati che vanno a beneficio di tutta la comunità;
  • LETTURA: capacità di leggere i bisogni e anticipare i cambiamenti;
  • GOVERNANCE: mettere insieme radicamento territoriale (per tradizione i legami territoriali sono il punto forte del terzo settore) e partecipazione a reti nazionali e sovranazionali ( le soluzioni si trovano e sono sostenibili solo in una dimensione più ampia a livello istituzionale).

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