Carattere e comportamento, gli asset più importanti nella leadership

Il post dedicato a come i migliori leader gestiscono le risorse umane ha generato un’enorme quantità di attenzione e commenti, sia sul blog che sui social network. Successo confermato da un altro post, questa volta dedicato all’opinione che collaboratori e dipendenti hanno dei propri manager in importanti realtà del panorama italiano e internazionale.

È il segno tangibile di quanto il tema abbia assunto importanza negli ultimi tempi? Probabilmente sì, e lo dimostra anche l’acceso dibattito sull’inversione dei tradizionali paradigmi della leadership. Vorrebbe però essere anche un invito a riflettere sul valore “economico” del carattere nell’esercizio della leadership.

A parlarne, nell’ultimo numero dell’Harvard Business Review, un articolo dal titolo “Measuring the Return on Character”, a sua volta tratto da uno studio di KRW International, società americana di consulenza per la leadership, che si è chiesta: qual è il valore delle “buone attitudini” di un CEO riconosciuto virtuoso dal suo staff, rispetto a uno prettamente autoreferenziale?

In due anni, il ROA dei primi è risultato essere del 9,35%, 5 volte più alto dei secondi, che si ferma a poco meno del 2%.

Per misurare la qualità della loro leadership, KRW International ha identificato 4 principi morali – integrità, responsabilità, empatia e capacità di perdonare gli errori – chiedendo agli impiegati di 84 società americane di valutare i propri CEO da questi punti di vista, in forma anonima.

Ne è venuto fuori che gli amministratori più in alto nella classifica di valutazione dei principi morali sono anche quelli con le migliori performance economiche. Fulgidi esempi sono Dale Larson, che ha espanso il business della propria famiglia all’indomani della prematura morte del padre, portandolo dalle 30 unità impiegate alle oltre 1500. E che dire di Charles Sorenson, passato dal ruolo di chirurgo a quello di amministratore delegato, con ottimi risultati?

Dietro la lavagna i CEO “cattivi”, reputati tali perché incapaci di assumersi le proprie responsabilità, di premiare i propri collaboratori, di mantenere la parola data. Ma soprattutto, incapaci di ammettere di essere tali, e quindi di migliorarsi. Lo stesso cofondatore della KRW International, Fred Kiel, ha ammesso di esserlo stato. Almeno fino a quando non ha intrapreso un “lungo e doloroso” percorso di crescita personale, che l’ha portato ad abbandonare gli eccessi degli esordi, focalizzandosi su migliori abitudini e ascoltando i feedback delle persone a lui più care.

In definitiva: non è mai troppo tardi per cambiare a patto di farsi supportare da una formazione costante, fenomenale alleata nella strada che porta alla buona leadership.

Cosa ne pensate? Dite la vostra lasciando un commento o utilizzando l’hashtag #spiritoleader sui nostri spazi social!

(3) commenti

  1. alfredo ruggiero

    Sono d’accordo su una leadership basata sui principi importanti sia sul lavoro che nella vita privata-Questi principi devono essere universali,autoconsistenti,che conferisco autorità(enpowerement).

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    • Ciao Alfredo,

      E’ verissimo, sono principi che possono essere fatti valere, oltre che sul luogo di lavoro, anche nella vita privata. Tu hai avuto modo di sperimentarli nella tua professione?

      Grazie per il tuo contributo, è molto importante!

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  2. Condivido pienamente.Se nel termine empatico inglobate indirettamente il termine ” Giver ” inteso come la cultura del dare allora è completo.Altrimenti dal mio punto di vista va inserito perché’ non può esistere un’azienda la cui cultura non si fonda su tale spirito..
    Antonio

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