C’era un leader, in una Company, che aveva fiutato il malumore in azienda.
A sorpresa, durante un meeting, esclamò: “Non pensate che non mi sia accorto che il clima è peggiorato e che molti di voi sono insoddisfatti. Vi invito a passare nel mio ufficio per una chiacchierata. Sentitevi liberi di disturbarmi quando volete. Vorrei che ci confrontassimo sulle problematiche che state vivendo, e che trovassimo insieme una soluzione.”
Dopo qualche giorno uno dei dipendenti bussò alla sua porta: dentro l’ufficio del leader era seduto un collega, un diretto riporto del Boss, con cui stava scorrendo dei documenti.
Il Boss disse: “Entra pure. Accomodati”.
Il Boss fece un cenno al diretto riporto di rimanere seduto, in segno di totale trasparenza e informalità.
Il dipendente si accomodò e un po’ titubante, iniziò a parlare di fronte ai due: “Sa, capo, mi permetto di disturbare perché volevo parlarle della situazione di disagio che sto vivendo in azienda. Da qualche tempo non mi sento stimolato. Vorrei fare di più, entrare in nuovi progetti, poter dare il mio contributo e provare a crescere. Ecco, vorrei ottenere una promozione, ma mi sento ingabbiato in una condizione statica. Faccio molta manovalanza, preparo presentazioni e mando report, e queste attività iniziano a starmi strette. Penso di poter dare un contributo maggiore alla Società. Eppure l’ho fatto presente più volte al mio diretto responsabile, ma senza successo. Probabilmente non gli interessa. Ecco, oggi sono venuto a dirle che se non otterrò mansioni più stimolanti, accetterò un’offerta in un’altra Società. Non vorrei farlo, perché sono affezionato a questo posto, ma sa…non ho scelta…io vorrei fare carriera.”.
Il Boss annuiva, e alla fine del monologo del dipendente disse “Capisco perfettamente, e hai fatto bene a parlarmene. Faremo tutto il possibile per risolvere la tua situazione e darti sfide più stimolanti. Grazie!”.
Con un sorriso, il Boss suggerì al dipendente che si era fatta l’ora di uscire dall’ufficio, e così successe.
Dopo pochi secondi, il Boss si girò verso il diretto riporto che aveva sentito tutta la discussione e disse: “Sai, speriamo che se ne vada. A noi servono figure operative, in grado di smaltire il grosso e alleggerire i manager. Se trovasse un altro posto di lavoro, potremmo assumere una persona più junior pagandola meno. E ora chiudi la porta per favore”.
Questa storia, veramente accaduta in una grande Società multinazionale, ci aiuta ad introdurre un argomento piuttosto delicato: se è vero che ai leader di oggi è richiesta apertura, empatia, predisposizione al dialogo, l’apparenza non basta.
Inutile pronunciare frasi ad effetto come “La mia porta è sempre aperta” – sinonimo comunque di una posizione di superiorità – oppure stimolare le persone a comunicare con trasparenza, se poi alla prima frase fuori posto scatta il fastidio.
Le risorse di una Company captano le vibrazioni empatiche di un leader, e ne capiscono le intenzioni: se il vostro approccio di apertura al dialogo è solo una facciata e manca di carisma e di intelligenza emotiva, i dipendenti se ne accorgeranno. Con la conseguenza che anche se “la porta è sempre aperta” e “fissiamo momenti di confronto, perché mi interessa l’opinione di tutti” e “cosa ne pensate? Ditemi sinceramente il vostro punto di vista!”, nessuno si azzarderà a farsi avanti.
E il silenzio è un’abitudine negativa e pericolosa per la salute di un’impresa – che ha bisogno di idee sempre nuove, entusiasmo e linfa – indice di una leadership retrograda, e sintomo di assenza di felicità in ufficio – con le conseguenze di scarso coinvolgimento e poco senso di appartenenza.
Tutte condizioni che un leader efficace e carismatico non può permettere che contagino il suo team.
Come creare un livello di coinvolgimento elevato, un rapporto di autentica fiducia e trasparenza e stimolare un vero confronto costruttivo tra un leader e il suo team?
In un articolo pubblicato dall’Harvard Business Review viene suggerito ai leader di mettersi in discussione, porsi delle domande e, sulla base delle risposte, auto valutarsi e correggere il tiro.
Ecco le aree da esplorare.
- Vi interessa davvero?
Una domanda semplice, ma fondamentale per testare la vostra attitudine al confronto. L’interesse sincero verso l’opinione altrui non è affatto scontato. Ci possono essere argomenti che vi interessano maggiormente e su cui siete più curiosi, altri che invece vi annoiano e che non volete approfondire: sappiate, però, che un leader deve avere una visione a 360° del business e che non può permettersi esclusioni. Per accogliere le opinioni altrui in modo costruttivo, lavorate anche sulla vostra umiltà professionale: di fronte ad un suggerimento o input dato da una vostra risorsa, inerente ad un argomento che non padroneggiate perfettamente, sappiate riconoscere il vostro limite e mettetevi nella condizione di imparare.
- Incutete timore?
Non importa se solitamente siete un leader sorridente ed empatico. Se le persone, nonostante la vostra porta sempre aperta non accennano ad entrare, e nonostante i vostri inviti ad esprimersi non si permettono di contraddirvi o di fare considerazioni opposte al vostro pensiero, forse l’immagine che avete di voi stessi è diversa dalla percezione esterna.
Domandatevi se in qualche occasione avete dato dimostrazione di irritabilità e prepotenza o se, magari in una giornata storta, avete zittito chi si era sbilanciato nell’esprimersi.
Se così fosse, ricordate che sono questi gli episodi che costruiranno la vostra reputazione.
Per non rischiare di inibire la libertà di espressione e il confronto, mantenete alta l’attenzione e non abbandonatevi a scivoloni di aggressività. E se vi è successo – perché può capitare – cercate di rimediare, scusandovi pubblicamente e motivando la ragione del vostro comportamento. Perché una giornata storta può accadere anche al miglior leader. Basta saperlo ammettere con semplicità.
- Le persone sono davvero sincere con voi?
Più alto il grado, meno sinceri i collaboratori. Il motivo? Le logiche politiche, che spingono i dipendenti più attenti ai ruoli e agli equilibri a dire ciò che il Boss vuole sentirsi dire.
Se avete il sospetto che non tutti siano schietti con voi – privandovi del privilegio di ottenere punti di vista concreti, confronti utili e spunti innovativi per il business – correte ai ripari: una soluzione è quella di ampliare il vostro pubblico di riferimento, relazionandovi anche colleghi esterni al team, meno interessati a lusingarvi e assecondarvi.
- Stimolate il confronto con piccoli gesti
A volte basta intervenire sul look – evitando formalismi eccessivi e virando al casual – o sulla postazione in ufficio – scegliendo di lavorare in open space, piuttosto che occupare un semi monolocale – per ridurre il gap tra voi e le vostre risorse. Questo vi renderà più accessibili e friendly, facilitando dialogo e confronto onesto.
Durante i meeting – sede del dibattito per eccellenza – ricordatevi di incentivare la discussione e dare spazio a tutti. Il primo passo per farlo è quello di limitare la vostra esuberanza e non monopolizzare il discorso, lasciando tempo ai partecipanti di intervenire. Sfruttate anche qualche gimmick del mestiere per rendere una riunione più informale e meno ingessata: se la riunione è breve, perché non stare tutti in piedi? Questo escamotage aumenta la concentrazione e rompe gli schemi e le gerarchie.
Paolo
Mi capita, per ragioni non sempre direttamente collegate al mio lavoro, di avere contatti con persone con mansioni molto diverse, imprenditori, manager e segretarie di aziende operanti in settori diversi.
Il quadro che mi sono fatto del la gran parte dell’imprenditoria della mia zona è desolante.
Se lo scopo di qualunque tipo di attività è sostenere la vita di chi vi partecipa, che significa dare la possibilità ad ognuno di migliorare le proprie condizioni economiche e renderlo orgoglioso del proprio lavoro, c’è qualcosa che non capisco: come è possibile pensare di riuscirci tartassando le “figure operative, in grado di smaltire il grosso e alleggerire i manager”?
In questo modo quei cavalli che tirano il carro si sfiancano e perdono grinta, mentre cercano di trovare una soluzione al dilemma tra lasciare un lavoro che hanno imparato ad amare, ma li sta soffocando, o restare per continuare a tirare anche per quelli che non lo fanno come dovrebbero.
Proseguo con la metafora equestre: la quantità di biada che viene data, inutile dirlo, è la stessa per tutti, indipendentemente dall’impegno profuso.
Mi dispiace ammetterlo, ma l’aneddoto riportato è purtroppo la fotografia di molte delle nostre aziende.
L’umiltà nel confronto, necessaria per non gettare alle ortiche ma, anzi, sfruttare a costo zero per innovarsi la lunga esperienza dei dipendenti più capaci, per molti imprenditori sembra essere più una debolezza da fuggire, che una virtù da coltivare.
Alessio
Concordo con Paolo.chi conosce il suo lavoro non ha bisogno di guide…..solo di riferimenti competenti,regole uguali per tutto e stipendi adeguati alla qualità….non alla quantità….molti manager compensano la propria incompetenza con giornate da 16 h lavorative inutile….si lavora per vivere e per poterlo fare si ha bisogno di qualità….