Katia Margarito, 42 anni, MBA, partner di DKG Consulting Group, si occupa di nuove Start-Up e Project Management, Consulting e managerializzazione di PMI anche a seguito di turnaround o riposizionamento.
Senior manager nel board di LaClinique Cosmetic Surgery, DOOC, Mebe e Industry adviser per Cognolink, Coleman Research e per privati Fondi di Investimento in campo Healthcare, Beauty, Pharma e Medical Device. Appassionata di gestione del Business e risorse umane.
1. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e quali sono le sfide maggiori che devi affrontare ogni giorno?
Mi definisco una business analyst con la passione delle risorse umane.
Il mio è un lavoro abbastanza fluido, varia in base alle esigenze delle aziende con cui collaboro e si esplica su tre fronti:
- lavoro come industry adviser, nella fase di early stage o expansion, per fondi di investimento interessati ad apportare capitale di rischio nelle company di riferimento
- seguo diverse aziende in fase di start up (l’ultima in ordine temporale Mebe Cosmetic Surgery) e le aiuto a valutare la loro business idea in relazione alla gestione delle prime fasi del progetto mettendo in rilievo punti di forza e criticità
- accompagno le PMI che vogliono affrontare un percorso di managerializzazione con focus su innovazione strategica e business model transformation.
La base di partenza è la conoscenza del mercato di riferimento e la predisposizione del Business Plan utile sia nella determinazione della fattibilità di un investimento, sia nella gestione dell’impresa, che nella ricerca dei finanziamenti. L’obiettivo è la presentazione dei risultati che ne derivano, attraverso un’analisi del piano economico-finanziario, delle previsioni di mercato e delle scelte strategiche da prendere.
Le maggiori sfide affrontate derivano dal confronto con le persone e dall’evoluzione tecnologica. Nel primo caso non è possibile avere un approccio unico sullo stesso argomento, ogni cliente ha una visione e un metodo di lavoro differente; questo da una parte contribuisce ad arricchire l’esperienza sul campo ma dall’altra rischia di disperdere energie in quanto a volte è impegnativo gestire pareri discordanti o disorganizzazione. Nel secondo caso invece la sfida dell’evoluzione tecnologica è intesa oltre al progressivo avvento dell’analisi di dati non strutturati (Big Data), anche con un cambio di passo della modalità lavorativa dove ogni consulente è chiamato sempre più a confrontarsi con il concetto di “collaborative” analyst che presuppone una visualizzazione finale del dato che sia il risultato della collaborazione di più utenti; questo necessita di capacità di interpretazione di pattern differenti, visione strategica sul medio lungo termine e capacità pratica di problem solving degli ostacoli quotidiani.
2. Quale è stato il momento professionale più bello e quello più difficile che hai vissuto?
Ne ricordo diversi in entrambi i sensi e devo dire che mi sono stati entrambi utili, i primi per rafforzare le mie motivazioni i secondi per fermarsi a riflettere su responsabilità, errori e modalità di miglioramento. Spesso nella mia memoria questi avvenimenti sono legati alle persone.
Nel primo caso ricordo una deadline dell’ultimo momento con il mio primo team italiano/spagnolo e la necessità di completare un progetto per QMC Fund entro il giorno successivo per motivazioni tecniche e finanziarie. Avevo mandato tutti a casa ed avevo l’idea di lavorare da sola. Dopo la fine dell’orario di ufficio eravamo in 11. Lavorammo tutta la notte tra pizze, tapas e cibo cinese. Quella notte mi ha insegnato che la forza del team che hai fatto crescere è quello che fa la differenza. Sempre.
Un momento duro e difficile è stato invece quello vissuto durante un progetto di valutazione di una company che aveva già iniziato a lavorare impiegando molte persone. In gioco c’erano finanziamenti per cifre molto importanti e la sopravvivenza del progetto stesso che non andò in porto. Ricordo ancora i colloqui avuti con le persone che avevano perso il lavoro, non fu affatto facile, sapevo che la valutazione fatta era corretta, ma fu una sconfitta. Quel giorno ho capito realmente che non si può lavorare protetti dallo schermo del pc, bisogna sporcarsi le mani.
3. Cosa significa per te il termine “leadership” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?
John C. Maxwell diceva: “Colui che pensa di condurre, ma non ha chi lo segue, è solo uno che sta facendo una passeggiata”.
Per me un leader è quindi qualcuno che riesce a farsi seguire dagli altri creando una relazione reciprocamente positiva attraverso la motivazione e la corresponsabilità nel raggiungere un obiettivo chiaro e prefissato. Nel mio lavoro quotidiano mi impegno a creare un clima di condivisione, nel rispetto dei differenti ruoli e cerco non tanto di dare l’esempio quanto piuttosto di fare le cose “per bene” così come vorrei che le altre persone le facessero per me.
4. Cosa significa per te il termine “innovazione” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?
Nella mia quotidianità il termine innovazione non necessariamente corrisponde all’innovazione tecnologica anche se quest’ultima riveste spesso un valore importantissimo in termini di vantaggio competitivo. Innovare nel mio lavoro significa anche portare a conoscenza e adottare, un servizio, una pratica, un modello che non erano applicati in precedenza. Il risultato migliore idealmente è quello di utilizzare in modo diverso risorse o strumenti già esistenti apportando un beneficio reale e quantificabile.
5. La tua citazione preferita?
…Act as if what you do makes a difference. It does.”
William James
Grazie mille Katia per il tempo dedicatoci e per l’interessante conversazione.