Vi chiedono di essere open minded, elastici e di pensare fuori dagli schemi.
Poi comprimono la vostra professionalità dentro i confini di una job description.
Un titolo che, forse, non rappresenta a pieno le vostre skills e non descrive bene le attività svolte ogni giorno. Senza considerare che lo stesso titolo cambia forma e contenuto a seconda del settore di appartenenza. Quanti punti di contatto ha un Project Manager di un’agenzia di comunicazione digitale con un Project Manager banking? Quasi nessuno.
Nell’epoca contemporanea fatta di innovazione e flessibilità, abbiamo ancora bisogno di mettere un tag davanti al nostro ruolo?
Proviamo a darci una risposta e ad aprire un confronto.
Spoiler alert: l’argomento è provocatorio.
E se la job description fosse un limite?
Suona come una sfida, ma qualche fondo di verità c’è.
Il job title può rappresentare un freno all’intraprendenza individuale.
Non sono rari i casi di professionisti che si limitano ad agire all’interno della “job description zone”, svolgendo solo i compiti richiesti da contratto. Niente guizzi, niente sconfinamenti, poca volontà di guardare oltre il proprio giardino.
Allo stesso tempo l’idea di crescita è vincolata all’improvement del titolo stesso: da account executive ad account director, da product specialist a product manager e via dicendo.
Che fine fanno i tanto pubblicizzati ruoli ibridi, le contaminazioni tra le aree di attività, la mitologica fluidità professionale?
Se i profili più ricercati dalle Company sono quelli delle risorse orientate all’apprendimento continuo e alla proattività, chiudersi dietro un job title non è l’approccio giusto.
Ripensare al job title in modo creativo
Siamo seri: non stiamo di certo discutendo su quanto sia strategico apporre una firma, piuttosto che un’altra, su un bigliettino da visita.
Di certo, però, il dibattito sul “titolo” può essere uno spunto per riflettere a tutto tondo sulla propria professione e decodificare realmente il ruolo in azienda.
Lo sostiene Marcela Sapone, co-founder e CEO di Hello Alfred, che ha dichiarato come sia rilevante spostare il focus dalla posizione intesa come status personale ad un job title orientato alla Company mission.
Secondo la Sapone, non è importante valutare un candidato in base all’ultimo titolo conquistato, ma spostare lo sguardo sulla persona e valutare come la risorsa abbia influenzato concretamente l’andamento della Company nel periodo di attività.
Addio al job title?
Non proprio: secondo molti esperti, tra cui Adam Grant e Justin Berg della University of Pennsylvania e Dan Cable della London Business School, può essere costruttivo far scegliere ai dipendenti il title da assegnarsi.
Un’iniziativa che può apparire singolare, ma che nasconde una grande presa di coscienza.
Per darsi un titolo, una risorsa deve capire fino in fondo la natura della sua posizione in azienda, deve analizzare le mansioni realmente svolte ogni giorno e chiarire, prima di tutto a sé stesso, il proprio perimetro di attività.
È fermandosi ad analizzare la situazione esistente, che si può riflettere sul futuro ed impostare un percorso di crescita.
Un valore aggiunto che non risiede nel titolo creato, ma nel percorso svolto per arrivare a svilupparlo: un processo che spinge le risorse ad interrogarsi sugli obiettivi del proprio lavoro, sulla natura dell’output, sulle connessioni cross funzionali.
Ascoltata la parola degli esperti, la palla passa ai professionisti: quanti di voi sono affezionati al proprio titolo, quanti preferirebbero ripensarlo in chiave innovativa, e quanti eviterebbero qualsiasi etichetta, sposando un’organizzazione flat?
Il dibattito è aperto.
Alessandro Paolo Capozucca
Questo argomento sembra l’estratto della mia vita professionale in ambito di manutenzione e management della stessa per esperienza ormai trentennale.
Chief engineer , un titolo basato su un titolo , L’esperienza e’ una somma di precedenti impieghi . L’essere titolare di una laurea garantisce al GM una considerazione di valore abituale per lo staff : dare ordini e far fare , l’importante e’ avere un risultato, anche negativo , ma un risultato. Controllare e’ lavoro da affidare ad un altro consulente . Alla fine la lettera di referenza puo’ solo dire che il ruolo ha avuto il suo giusto corso . Molte di queste lettere fanno il corso di una carriera ! Troppo spesso ci si deve misurare con personaggi che non conoscono la differenza tra capo e leader . Ho vissuto molto con uomini di ogni estrazione(molto in Africa dove il back ground tecnologico e’ quasi zero) cercando di essere un leader , insegnando e operando con loro senza mai usare “IO” , ma sempre “NOI” . Gli ostacoli sono sempre stati creati da G.M. il cui unico scopo e’ soddisfare le esigenze della proprieta’ a costo del detrimento dello sviluppo e l’immagine del servizi resi nel loro complesso. Possiamo sviluppare molte teorie e argomenti correlati all’infinito , ma sarebbe ora che si capisse esi mettesse in pratica il vero senso di “SERVIZIO” e farlo capire a tutti i livelli di collaborazione Aziendale ,in tal modo il management e’ veramente un “NOI” dobbiamo fare , ed ognuno per sua competenza
Massimo De Nicola
Fotografia nitida della situazione attuale. Le imprese fanno necessariamente fronte all’evoluzione tecnologica riadattando i propri modelli organizzativi. Nell’Organizzazione compaiono quindi nuovi ruoli (e questo è il caso più fortunato perché l’innovazione è evidente), o i ruoli esistenti si modificano non nel titolo ma nei contenuti ( e qui c’è un grande rischio di malintesi sia nell’attribuzione degli incarichi che nello svolgimento delle attività e interazioni all’interno dell’organizzazione stessa).
Il Job Title mantiene un valore come immediatezza di comunicazione, ma rischia di essere un limite se poi non se ne approfondiscono i contenuti.
Dott. Lucio
Dopo aver a lungo sviluppato competenze in ogni campo dello scibile umano (religione, sociologia, psicologia, psichiatria, matematica, fisica impossibile e l’amatissima economia politica e aziendale) devo dire che più si sale nella gerarchia aziendale meno valgono i ruoli rigidi che si possono sintetizzare in un job title. Non a caso amo definirmi “Poeta e Fabbro del Cambiamento”. Direi che ancora oggi (forse più di ieri…nonostante l’evoluzione tecnologica informatica) vale la vecchia classificazione delle capacità che per i ruoli meno magmatici e più statici e diffusi richiede capacità tecniche (che rientrano benissimo nei job title), poi suggerisce capacità di astrazione (meno ingabbiabili in “job title”) quindi propone le capacità umane che tutto sommato fanno un po’ a pugni con i “job title”, anche se personalmente il mio pseudo job title me lo sono inventato e direi che mi rappresenta proprio bene. Infatti sul mio Profilo Linkedin mi presento, non a caso…, come “Poeta e Fabbro del Cambiamento”