Laureato a pieni voti in Filosofia del Linguaggio, sposato, due figli, ad eccezione di una parentesi alla fine degli anni Novanta in cui è alla guida di una importante azienda di trasporto pubblico, Valerio Neri dedica interamente la sua carriera professionale al mondo del no profit.
Attivo da sempre nel mondo ambientalista, come Direttore Generale di note organizzazioni ma anche nelle vesti di consulente esterno e di membro di Comitati Scientifici, nel 2006 decide di dedicarsi al mondo dell’infanzia e approda a Save the Children come Direttore Generale.
Il motto di Eglantyne Jebb, fondatrice nel 1919 dell’organizzazione, è il suo spirito guida da allora: “Il futuro è nelle mani dei bambini. Che ogni bambino affamato sia nutrito, ogni bambino malato sia curato, ad ogni orfano, bambino di strada o ai margini della società sia data protezione e supporto”.
1. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e quali sono le sfide maggiori che devi affrontare ogni giorno?
Sono al timone di Save the Children Italia dal 2006. In questi anni l’organizzazione è cresciuta sia numericamente (meno di 60 unità nel 2006, oggi lo staff ha superato di poco le 300 persone) sia a livello di programmi e presenza sul territorio.
Guidare una crescita di queste proporzioni e complessità comporta non solo valutare attentamente la direzione in cui muoversi, gli obiettivi da porsi perché possano incidere fattivamente in maniera positiva nella vita di tanti minori garantendo loro diritti e protezione, ma anche – e forse direi soprattutto – saper scegliere oculatamente i propri collaboratori ed armonizzare il tutto in sinergia con gli altri organi apicali dell’organizzazione.
La sfida più grande è sempre e comunque quella di generare un impatto capace di fare la differenza “fino all’ultimo bambino” come recita il motto della nostra ultima campagna globale. La sfida quotidiana è quella di riuscire a raggiungere i bambini più esclusi ed emarginati, invisibili e dimenticati, per lottare e garantire loro l’opportunità di un futuro.
2. Quale è stato il momento professionale più bello e quello più difficile che hai vissuto?
In un contesto lavorativo come quello di Save the Children, così strettamente a contatto con la fragilità, il bisogno, l’emergenza, si è spesso esposti a qualcosa che emoziona profondamente.
Se devo però scegliere un momento particolarmente bello, che ha dato veramente senso a ciò che facciamo tutti i giorni, mi viene in mente quando poco tempo fa una adolescente, con le lacrime agli occhi, mi ha detto che Save the Children le ha cambiato la vita, l’ha letteralmente salvata! Ha usato proprio queste parole. E devo dire che sono arrivate dritte al cuore: infatti un conto è sapere razionalmente che con i nostri progetti riusciamo a migliorare la vita di tanti bambini e ragazzi, un conto è sentirselo dire in modo così schietto, spontaneo, diretto!
Il momento più difficile, invece, è l’estate del 2017 quando Save the Children è stata attaccata sulla stampa per aver portato aiuto ai migranti nel Mediterraneo con la nostra nave Vos Hestia. In quel frangente le falsità che sono state pubblicate hanno raggiunto un livello che non credevo possibile in un Paese moderno, democratico e civile.
3. Cosa significa per te il termine “leadership” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?
In generale, direi che la leadership è la capacità di motivare le persone a realizzare un obiettivo comune. In che modo? Non credo esista una ricetta universale ma posso dire quali sono per me gli ingredienti principali.
Prima di tutto assumersi in prima persona le responsabilità e dimostrare la capacità di comunicare e relazionarsi con gli altri in modo proficuo, fissando una direzione strategica che sia chiara a tutti i membri del gruppo.
È fondamentale infatti saper creare un team coeso così come essere capaci di delegare quanto possibile per creare un clima di fiducia e per responsabilizzare; e poi riconoscere i successi e confrontarsi laddove si affrontano gli insuccessi. Anche sapere accogliere le idee innovative fa parte di una buona leadership. Significa aver fiducia e dimostrarla.
4.Cosa significa per te il termine “innovazione” e come cerchi di portarla quotidianamente all’interno del tuo ambiente lavorativo?
Attingo alle mie origini e rispondo che filosofi ed innovatori condividono la medesima disposizione mentale: si chiedono il perché, ascoltano, analizzano e per entrambi ogni nuova idea è una nuova connessione.
La trasformazione è il cardine della innovazione e la qualità del risultato spesso – se non sempre – è determinata dall’approccio. Nel nostro lavoro infatti è fondamentale porsi delle domande non solo sul dove ma sul come si vuole arrivare ad un determinato risultato.
Per questo l’esercizio è quello di ciò che a tutti sembra ovvio, sviluppare un pensiero laterale, una mentalità elastica così come elastica e mutevole è la realtà, ossia il punto di partenza del nostro operato quotidiano. I Punti Luce che abbiamo aperto in questi anni su tutto il territorio italiano sono un esempio di innovazione, qualcosa che nasce da una realtà di deprivazione e che fa emergere le doti e apre le porte per un futuro diverso.
5. La tua citazione preferita?
“Ducunt volentem fata, nolentem trahunt” – Seneca, Epistole a Lucilio
(Il fato guida chi vuole lasciarsi guidare, trascina chi non vuole)
Grazie mille Valerio per il tempo dedicatoci e per l’interessante conversazione.