Siamo destinati alla crescita, o il successo è nelle nostre mani? Il talento innato è alla base della conquista del successo, o ogni sforzo per migliorarsi è un passo in più verso la vetta? Esistono persone predisposte al comando, o tutti siamo potenziali vincitori?
Le risposte alle semplici – in apparenza – domande qui sopra possono definire il vostro atteggiamento mentale nei confronti del business e della professionalità.
Se avete scelto le prime soluzioni di ogni quesito, probabilmente siete dotati di un’attitudine mentale fissa. Se, al contrario, avete preferito le opzioni b, la vostra attitudine mentale è tesa alla crescita.
Una differenza sostanziale, studiata e formalizzata nel 2006 da Carol Dweck, docente di psicologia presso la Stanford University, che spacca nettamente in 2 il panorama dei professionisti moderni.
I primi, quelli con una mentalità statica credono nella potenza del talento innato e nella fatalità del successo. Per questo motivo si impegnano per dimostrare le proprie abilità acquisite, evitano le sfide, circumnavigano gli ostacoli, e reputano l’apprendimento come uno sforzo superfluo. Insomma: la leadership risiede nel DNA, e se non ce l’hai, non potrai fare nulla per conquistarla.
All’opposto si posizionano i professionisti dotati di un’attitudine mentale orientata alla crescita. Meno sicuri di sé in partenza, sono spinti dal desiderio di imparare e lavorano sodo sia sulle skills già acquisite che sulle debolezze, per trasformarle in punti di forza. Fanno tesoro dei feedback negativi e dei successi altrui, per ricavare insegnamenti utili come spunti di miglioramento. Vivono le esperienze quotidiane, lavorative e personali, come una palestra dove allenarsi a migliorare. Niente è lasciato al caso, tutto è potenzialmente utile per diventare progressivamente migliori e più forti.
Inutile dire che i secondi, quelli apparentemente svantaggiati in partenza, sono quelli che otterranno più successi.
Il motivo è semplice: i primi sfruttano solo parzialmente il loro grande potenziale, accontentandosi dello status quo. I secondi, invece, grazie a costanza e determinazione, abbattono le barriere e crescono a doppia velocità. Un comportamento che non qualifica solo i professionisti, e le persone in generale, ma che appartiene anche alle imprese.
Alzi la mano chi non ha ben in mente di aver lavorato, nel corso della propria carriera, per aziende delle due fazioni.
Quelle statiche, dove la meritocrazia è un miraggio, le posizioni sono fisse, le poltrone sono assegnate. I dipendenti sono poco motivati ad esporsi e ad impegnarsi, costretti all’immobilismo gerarchico, e non possiedono il minimo senso di appartenenza.
Poi ci sono le Company dinamiche, orientate alla crescita, che credono nel talento e nell’apprendimento: spingono i propri dipendenti a mettersi in mostra, ad assumersi dei rischi, a spingersi sempre più in là. I collaboratori si fidano dei propri leader, sono attivamente coinvolti, si sentono partecipi di un grande progetto e sono motivati ad impegnarsi di più. Un’attitudine virtuosa e innovativa che alcune delle più grandi aziende del mondo hanno concretizzato in appuntamenti fissi e premianti.
Come Microsoft, che ha lanciato l’hackathon: una manifestazione annuale dove i dipendenti di tutto il mondo possono proporre le loro idee, svilupparne il business plan lavorando in gruppo, e metterle in gara. I vincitori ottengono una sovvenzione aziendale per realizzare i migliori progetti e, ovviamente, hanno la possibilità di mettere in mostra le proprie doti personali a livello globale, ottenendo visibilità aziendale per ricoprire ruoli di prestigio.
Un’iniziativa che, nel 2016 alla terza edizione, ha visto la partecipazione di oltre 14 mila dipendenti, in 72 nazioni, che hanno candidato al contest più di 3.200 progetti in un clima di entusiasmo contagioso, capace di favorire l’innovazione e la crescita dell’azienda e delle persone.
E voi, siete pronti al cambiamento?