Cosa significa diventare un leader?
Per molti vuol dire essere ai vertici del potere, finalmente impartire ordini agli altri, non dover più chiedere l’aiuto altrui. Assumere il ruolo da manager, insomma, nel pensiero comune è assimilabile ad un atteggiamento individualista ed egoriferito, con punte di superbia ed arroganza.
Un approccio che, però, sembra non pagare: secondo un articolo pubblicato recentemente sul Wall Street Journal, il leader migliore è quello umile, perché con il suo comportamento è in grado di indurre fiducia negli altri, di facilitare il dialogo e di creare coesione e collaborazione.
Sarà vero? Forse sì, se pensiamo che tra le Società di consulenza HR iniziano a farsi strada assessment ad hoc per identificare i tratti di umiltà, sincerità e modestia degli aspiranti leader.
Eppure, osservando il mondo del business contemporaneo, l’umiltà al momento non è ancora una delle caratteristiche richieste ad un manager. Preparazione, forza, carattere deciso e piglio autoritario sono i tasselli del DNA di un vero boss.
Perché quasi tutti i leader sembrano arroganti?
Inutile negarlo: buona parte dei leader con cui si ha a che fare nel corso della vita è arrogante e con un ego smisurato. Ma se l’umiltà è così importante per ottenere risultati migliori, perché ancora tanti manager sono ostinatamente altezzosi?
Prova a spiegarlo Bill Taylor, co-founder del web magazine Fast Company: il primo freno dei leader all’umiltà è la convinzione che la modestia inibisca l’ambizione, e che non sia quindi possibile essere dei leader vincenti e affermati avendo un atteggiamento low profile e sincero. Peccato che la realtà dica l’opposto: essere al tempo stesso umili e ambiziosi è la chiave per ottenere risultati concreti sul lavoro, perché permette di accantonare il senso di potere lasciando spazio alla gratitudine.
Una convinzione errata – quella che porta a pensare che l’umiltà impedisca il successo – che nasce dalla volontà di appartenere alla categoria dei vincenti: non sapere qualcosa e dimostrarsi umili è visto dai più come un atteggiamento da perdente, mentre fingere di sapere tutto e ordinare agli altri come farlo è simbolo di dominio e, quindi, di successo.
Il ruolo chiave dell’umiltà
Ma c’è di più: secondo Taylor, oltre alla prima motivazione, i leader evitano di mostrarsi umili per non apparire deboli e vulnerabili quando le risorse sotto il loro controllo hanno bisogno di risposte e di essere rassicurate.
Così facendo, però, perdono, incredibilmente, un punto di forza: i migliori leader non fingono di avere tutte le risposte tra le mani, ma sanno comprendere che è fondamentale assimilare idee e competenze da chi ne sa di più. Perché sì, ci sarà sempre qualcuno di più preparato su un argomento specifico, e affidarsi alle skill altrui non significa sentirsi “inferiori”: bisogna imparare a chiedere, piuttosto che parlare senza conoscere a fondo. Riconoscere i meriti dei collaboratori, in più, può diventare per i leader illuminati una spinta alla crescita, stimolando il professionista all’apprendimento per arricchire le proprie competenze e alzare l’asticella della preparazione.
Essere modesti, inoltre, rende il leader empatico e in relazione profonda con il suo team: di fronte ad un manager umile – quando serve – le risorse si sentono meno in soggezione e sono più propense a seguire le direttive del leader, che perde l’immagine da boss e acquisisce quella di guida.
Compresa l’importanza dell’umiltà nel mondo del business, come comportarsi? Adottare un atteggiamento modesto “a comando” non è la scelta giusta. Dietro ad un approccio discreto e morbido, capace di ascoltare e di affidarsi a chi è più capace o ferrato in un determinato campo, si nascondono forza ed energia. Solo un leader estremamente fiducioso in sé stesso può sostenere l’ansia di lasciare il timone ad altri e solo un manager attento può accettare di non avere tutte le risposte.
Insomma: se per avere successo è meglio essere umili, la modestia – quella vera – si costruisce solo su una base solida di consapevolezza.