Se il mondo del business fosse governato dai luoghi comuni, diremmo che “chi si somiglia si piglia”.
Soprattutto quando si parla di recruiting.
È proprio durante il processo di selezione, infatti, che i professionisti attuali appaiono in difficoltà nel valutare oggettivamente le potenzialità del candidato, a vantaggio di una scelta basata su stereotipi inconsci.
Secondo studi recenti condotti da LinkedIn, sembrerebbe sempre più difficile capire le reali capacità di un candidato e testarne la preparazione e l’aderenza al business.
La colpa?
Del colloquio tradizionale: il classico percorso che va dalla telefonata conoscitiva all’assessment non riesce più a restituire un quadro affidabile della risorsa che, spesso, dà risposte preparate e di circostanza, celando la sua vera identità.
Old style e mosso dalle percezioni del selezionatore: il recruiting non è oggettivo
Come se non bastasse, a falsare un processo di selezione intervengono anche le distorsioni cognitive inconsce dell’intervistatore che lo fanno orientare non su riscontri oggettivi – il candidato è più o meno adatto alla posizione – ma su schemi mentali esistenti. Un processo denominato uncoscious bias, decisivo nel 42% dei casi, che spinge l’intervistatore a scegliere qualcuno di simile a lui, cadendo nella trappola della similarity bias.
Selezionare chi sentiamo vicino al nostro mondo e chi ci fa scattare meccanismi di appartenenza e d’immedesimazione, non solo scarta automaticamente un professionista preparatissimo ma lontano dai nostri standard, ma va anche a discapito della diversity: scegliendo risorse omologate, l’organizzazione perde l’opportunità di diversificare storie, approcci e background.
Il colloquio di lavoro cambia pelle: ecco come sarà il recruiting del domani
Niente panico, però, perché il futuro del recruiting sarà all’insegna dell’innovazione: secondo una ricerca condotta da LinkedIn su 9.000 professionisti della selezione, stanno prendendo piede modalità nuove di testare la competenza dei candidati. Il tutto nell’ottica di abbandonare il classico CV e di scendere in campo per valutare in modo più efficace la preparazione di una risorsa.
Le 3 tecniche di recruiting emergenti?
1. Le audizioni di lavoro
Come verificare se un candidato è adatto alla posizione vacante? Facendogliela ricoprire – sotto compenso – per un breve periodo di tempo. Mettere alla prova un professionista, facendolo confrontare con i task reali è la migliore cartina di tornasole per osservarne le qualità. Semplice, no?
2. I colloqui…al bar
Dimenticate le sale riunioni, le conference call e le lavagnette magnetiche, oggi la job interview si fa tra un crodino e un club sandwich. Secondo LinkedIn una buona fetta dei recruiter internazionali predilige gli ambienti informali e le location fuori dalla cornice business. Una scelta molto acuta, mirata a mettere il candidato a proprio agio, e a sondarne meglio le soft skills.
3. La selezione si fa in 3D
La realtà virtuale invade anche il mondo del recruiting: per mettere alla prova i talentuosi aspiranti, sempre più selezionatori fanno ricorso al mondo del 3D. I vantaggi? Immergere i candidati in un ambiente ricreato artificialmente, che permette di verificare accuratamente anche le competenze più tecniche e specifiche. Il tutto in modo smart e ottimizzato.
Carla Caputo
Credo di essere old style e di non credere all’esistenza del candidato perfetto. Se è pur vero che le conoscenze a le capacità strettamente tecniche siano più oggettivabili, io ritengo che siano proprio le risonanze inconsce del selezionatore a fare la differenza.