Chi meglio di un esperto nel campo delle risorse umane può aiutarci a comprendere le evoluzioni del mondo del lavoro e le skill necessarie per affrontare un cambiamento?
Ecco perché abbiamo affrontato questo tema proprio con Davide Paganoni, Group Director L&D del Groupe Edmond de Rothschild.
Quali sono le sfide attuali del tuo lavoro?
Il mio lavoro consiste prevalentemente nel supportare l’azienda nello sviluppo delle risorse umane. Sono sostanzialmente tre le sfide che mi trovo ad affrontare.
La prima è che, per anni, ci si è concentrati sullo sviluppo di “competenze”. Una delle sfide attuali delle risorse umane è invece sviluppare le “capabilities” necessarie all’evoluzione continua del business. Intendo che oltre alle competenze necessarie, serve agire in un modo più olistico sui processi interni, sull’organizzazione e sulla governance, sugli strumenti e supporti IT (inclusi tutti gli sviluppi nell’ambito digital).
Un esempio concreto? Erogare percorsi di formazione alla forza vendita ( a qualunque livello, dalle reti al B2B) occupandosi solo di competenze alla vendita, senza intervenire sui sistemi incentivanti, sulla cultura del feedback, sulla modalità di gestione degli obiettivi e sui KPIs, è sostanzialmente inutile o solo cosmetico.
Un altro tema è poi la continua evoluzione del modo di imparare. Sta mutando velocemente il modo di informarsi, di condividere conoscenza, di gestire relazioni e network. Sta cambiando la gestione del tempo e delle attività, sia in ambito professionale che personale. La familiarità con i social media, con gli strumenti digital e con l’uso dei dispositivi personali è altrettanto radicalmente cambiata. Tutto questo impatta anche sulla capacità di restare concentrati e di gestire attività e diversi strumenti di comunicazione in contemporanea. Ecco dunque che un’altra sfida fondamentale è lavorare sui paradigmi dell’apprendimento. La gestione delle attività di learning, e intendo di learning efficace, sta profondamente mutando. Per esempio, quelle scuole che hanno un approccio fermo a vent’anni fa, oggi vivono di rendita sulla loro fama. Per quanto durerà?
Infine, un recente numero di HBR (Jan-Feb 2018) stimolava una riflessione sul “the culture factor”, e quindi sull’impatto della cultura aziendale sui risultati di business. Un tema interessante e sempre molto attuale è quello aiutare l’organizzazione a una vera coerenza e allineamento tra Brand identity e Leadership identity. Questi due elementi, insieme, contribuiscono in maniera determinante a definire la cultura aziendale. Un esempio concreto? Quanto viene percepito dai clienti, dal mercato, dai principali stakeholders, rispetto all’identità di Brand, deve riflettersi concretamente nei modelli comportamentali e valoriali all’interno dell’azienda. Se questo non avviene, prima o poi i clienti lo percepiranno, e peggio ancora si rischia di perdere motivazione e quindi engagement all’interno dell’organizzazione.
Qual è il momento professionale più emozionante o che ricordi con più soddisfazione?
Nel periodo 2002-2007 ho lavorato in Ferrari a Maranello. Erano gli anni degli ultimi 3 titoli mondiali di Michael Schumacher, e di quello di Kimi Raikkonen del 2007. Al di là dei successi sportivi la parte più interessante del mio lavoro è stata quella di contribuire al lancio e al successo del progetto “Formula Uomo”. L’obiettivo principale era mettere la “risorsa umana” al centro del modello di business (sia lato industriale che sportivo), con progetti e azioni concrete per la crescita e la soddisfazione dei dipendenti. Tornando all’ultimo punto della domanda precedente, un esempio vincente di allineamento tra Brand identity e cultura aziendale. E in termini di riconoscimenti, il conseguimento del premio Great Place to Work a livello Europeo nel 2007.
Qual è il patrimonio di skills per la crescita professionale e il cambiamento di settore lavorativo?
Sono ancora una volta tre gli elementi che mi vengono in mente.
Precedentemente ho usato più volte l’espressione “brand identity”. Vale allo stesso modo per le aziende e… per le persone! Avere un chiara idea della propria brand strategy, o meglio del proprio personal branding, è fondamentale per pianificare la propria crescita professionale e cambiare eventualmente ruolo o lavoro. In che modo vogliamo posizionare la nostra offerta professionale? Su quali eccellenze professionali e umane vogliamo puntare per la nostra crescita? La prima cosa è avere chiare risposte a queste domande.
Poi, si parla molto di “competenze”. La vera sfida non è quella di essere genericamente competenti, ma di costruire il proprio percorso professionale per arrivare ad essere estremamente competenti, capaci di essere degli outstanding performer nel proprio campo. Una provocazione possibile è quella di smettere di sviluppare le competenze sulla quali siamo deboli, e colmare i cosidetti gap, ma puntare tutto sullo sviluppo di competenze sulle quali siamo forti, per arrivare ad essere i migliori sul mercato (o almeno avere l’ambizione di provarci).
Infine un’attenzione particolare alla propria Learning agility. Qual è la nostra attitudine all’apprendimento? Quale curiosità ci muove? Quale fame di conoscenza abbiamo? Quanto siamo capaci di sfidarci continuamente verso nuovi apprendimenti? Quanto siamo capaci di lanciarci al di fuori delle nostre zone di comfort?
Come si motivano le persone nei team e nelle organizzazioni per affrontare cambiamento e l’innovazione?
Rispetto a questa domanda ho un’opinione molto precisa: le persone non si possono motivare, si possono solo ingaggiare. E l’engagement delle proprie persone e dei propri team è una delle sfide più elevate per ogni manager. È probabilmente una delle abilità di leadership più complesse e difficili.
Sono molte le leve organizzative utili per ingaggiare le proprie risorse, ma ecco quelle che ritengo le principali:
- Rifacendosi al celebre “Golden circle” di Simon Sinek (chi non lo conosce legga il libro “Start with why” o più semplicemente guardi il Ted Talks “How great leaders inspire action”), è fondamentale far comprendere alle persone non solo “cosa” e “come” si sta cambiando, ma soprattutto ”perché”. Sembra una cosa ovvia e scontata, ma nella mia esperienza molte organizzazioni fanno fallire i propri progetti di change proprio perché hanno difficoltà nel comunicarne le motivazioni.
- Lavorare al meglio sulla cosidetta “connection”, la comprensione del collegamento dei propri obiettivi professionali con gli obiettivi del proprio team, della propria funzione e infine con gli obiettivi aziendali e la strategia di business. Ho cambiato diverse aziende nella mia vita professionale, e ho riscontrato come il lamento più frequente da parte dei vari CEO fosse: “perché nonostante tutti i miei sforzi, le persone dicono di non conoscere la nostra strategia?”. Il punto è che non basta lavorare con i canali e gli strumenti di comunicazione interna, ma occorre rimettere al centro il sistema di performance management (qualunque modello si usi) e responsabilizzare ogni manager, in primis il top management, nel creare questa connection con un corretto uso degli obiettivi di performance.
- Tenere presente la leva fondamentale della cosidetta “contribution”. Quanto le persone percepiscono di creare valore aggiunto per l’organizzazione con il proprio contributo? L’ingaggio si ottiene nella misura in cui ogni dipendente si sente responsabilizzato nel contribuire con il proprio cervello, con la propria creatività e competenza al raggiungimento delle sfide di business, e non solo nel dare un contributo meramente operativo.
Quanto più ogni manager è capace di esprimere la propria leadership su questi tre elementi, quanto più l’azienda sarà in grado di affrontare cambiamento e innovazione con persone ingaggiate.
Se le risposte di Davide Paganoni hanno risvegliato la tua curiosità sul tema, non perdere l’occasione di ascoltare il suo intervento l’11 luglio in occasione dell’evento EMBA Career Tales.
Con lui parteciperanno alla tavola rotonda Career Tales: Persone e innovazione nella trasformazione digitale anche Giampaolo Codeluppi, Partner di Key2People che illustrerà i trend dell’executive recruitment, Clemente Perrone, VP Human Resources & Organization Director di Sirti, e Luciano Traquandi, docente di Organizational Behaviour del MIP Politecnico di Milano.