I feedback costruttivi aiutano a crescere; ma le donne non ne ricevono abbastanza

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Sbagliare è umano e, sul lavoro come nella vita, l’importante è fare tesoro degli errori per crescere.

Nella carriera di un manager questo percorso tra ostacoli, cadute e risalite è costellato dalla ricezione di feedback da parte dei leader di riferimento: i giudizi sul proprio operato sono lo strumento fondamentale per comprendere i propri punti di debolezza e trasformarli in punti di forza.

Ogni professionista, per fare carriera, dovrebbe avere momenti di confronto con i propri capi, ricevere feedback costruttivi, riprendere il percorso cercando di migliorarsi e, finalmente, crescere.

Facile, vero?

No, se siete donne.

Numerose ricerche – come “Women in the workplace 2016, realizzata da McKinsey & Co. insieme a LeanIn.Org (un’organizzazione fondata da Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer di Facebook), e uno studio promosso da Shelley Correll e Caroline Simard, due ricercatrici della Stanford University, e pubblicato su Harvard Business Review – mostrano come ancora oggi le donne siano penalizzate sul posto di lavoro, in confronto ai loro colleghi uomini.

Il campo di battaglia, da cui le donne escono ancora una volta sconfitte, è questa volta la quantità e la qualità dei feedback ricevuti.

In fatto di quantità, l’analisi “Women in the workplace 2016” dimostra come i manager siano in seria difficoltà quando si tratta di trasferire alle dipendenti donne feedback negativi.

Nonostante la chiara richiesta delle donne di ottenere indicazioni precise e oggettive sugli aspetti da migliorare, la maggior parte dei boss si sente frenato nel giudicare le dipendenti per paura di ledere la loro emotività, o di sembrare cattivo e ingiusto. Il risultato? Le donne ricevono il 20% in meno di commenti negativi, utilissimi invece per migliorarsi e crescere.

La situazione non cambia, anzi se possibile peggiora, quando si parla di qualità dei feedback ricevuti.

Superata la reticenza dei manager alla comunicazione dei giudizi negativi, analizzare come i commenti critici vengano trasferiti alle dipendenti donne, pone non poche domande sulla parità di genere nei palazzi del potere.

Se ai colleghi maschi le critiche vengono poste in modo costruttivo, sottolineando le soluzioni più efficaci per limare i punti deboli, alle donne non vengono risparmiati rimproveri vaghi e sterili, soprattutto riguardanti la loro personalità e lo stile comunicativo.

Le donne amichevoli e con uno stile di comunicazione soft, ad esempio, vengono tacciate di essere troppo morbide e ancorate ad un modello antico di femminilità. Difficile, quindi, prenderle molto sul serio sul posto di lavoro e ancor più complesso metterle al comando di un team. Al contrario, le donne assertive vengono giudicate molto spesso come scostanti o troppo aggressive. Il consiglio dei manager? Moderare i toni, cercare di essere meno graffianti, preferendo uno stile più docile, a metà tra l’aggressivo e il timido. Tra il dolce e il pungente. E in entrambi i casi, meglio dimenticare una promozione, o un ruolo di potere.

Il quadro mostrato dalle numerose ricerche è quindi chiaro: le donne lavoratrici e desiderose di fare carriera vivono una situazione paludosa e schiava degli stereotipi.

La soluzione immediata non c’è, ma un consiglio per le donne future leader forse sì: preoccupatevi meno delle aspettative altrui e comportatevi per quello che davvero siete. Compiacere i cliché e fingere sulla propria personalità non è la chiave per il successo.

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