Essere un leader è una questione complessa.
Una perfetta preparazione, fini competenze gestionali e massima comprensione del business a 360° sono solo alcune delle doti richieste.
Buona parte della sfida di affermazione della leadership si gioca sul campo del linguaggio non verbale, dei piccoli atteggiamenti e dei dettagli che, come sempre, fanno la differenza. Soprattutto perché, in qualità di leader, siete un osservato speciale e tutti gli occhi, o quasi, sono puntati su di voi.
Immaginate a quante volte, di fronte ad un professionista in grado di fare perfettamente il proprio lavoro, un piccolo dettaglio, a prima vista insignificante, vi ha fatto cambiare idea. Un suo gesto, il suo tono di voce, un suo comportamento anche di pochi secondi, ha influenzato in maniera irreversibile la vostra percezione, facendovi ricredere sulle sue competenze.
La stessa cosa può succedere ad un leader: non prestare attenzione ai propri atteggiamenti può trasferire un’immagine distorta di sé ed ergere una barriera verso gli altri. Con la conseguenza che la leadership, una condizione a metà tra tangibile – un ruolo assegnato – ed intangibile – legata alla riconoscenza degli altri ed alla conquista della loro fiducia – può vacillare.
Sono dunque i piccoli atteggiamenti a fare di un professionista un vero leader? Sì, anche.
Pensate ad un manager che, durante un colloquio con un dipendente, interviene costantemente parlandogli sopra. O a chi, durante un meeting più o meno importante, si distrae scrivendo e-mail fiume o telefonando. O ancora, quanto è irritante quando un leader, interpellato da un membro del suo team per un problema emerso, risponde ad una richiesta con un’altra domanda, mettendo sul tavolo un nuovo dubbio e incrementando la complessità del lavoro? Per non parlare di chi ha sempre la porta dell’ufficio chiusa.
Tutti questi atteggiamenti, all’apparenza poco importanti e sicuramente molto diffusi, sono segnali cruciali della personalità di un manager. Come nelle logiche di linguaggio verbale e non verbale, anche in questi casi è possibile decodificare ogni comportamento e tradurlo, facilmente, in scarso interesse, poca disponibilità, chiusura ed incapacità di lavorare in team.
Se vi riconoscete in alcuni di questi aspetti è fondamentale correggerli in corsa per cercare di modificare l’opinione che gli altri si saranno fatti di voi.
Un’altra delle caratteristiche tipiche di un buon leader, è quella di essere riuscito a costruire un’ampia rete di contatti a cui poter ricorrere all’ occorrenza e senza remore.
Facile? Assolutamente no.
Ne abbiamo parlato spesso: leader introversi, incapacità di gestire la difficoltà di fare networking e la sensazione di egoismo nel costruire una relazione a fini puramente personali, fino alla scelta, in estrema ratio, di orientarsi sempre verso lo stesso piccolo gruppo di volti noti.
Tutto sbagliato: lanciatevi alla scoperta di persone nuove, che possano arricchire il vostro bagaglio culturale, ed alla ricoperta di vecchie conoscenze, con cui riallacciare i rapporti per possibili opportunità congiunte. Scrollatevi di dosso l’ansia – ingiustificata – di alzare il telefono e chiamare quel vecchio compagno di MBA che ora lavora in una Big Company e provateci: le ricerche sul tema dimostrano che, dopo i primi attimi di difficoltà, riconnettersi con ex conoscenti di fiducia è un grande piacere.
Infine, per essere un leader apprezzato e stimato – e non un semplice boss temuto – fate attenzione al clima all’interno del vostro team. Diffondete entusiasmo per il lavoro, seguendo l’approccio del “leading by example”, ovvero comportandovi voi, per primi, come vorreste che i vostri dipendenti facessero. Mostrarsi positivi, proattivi, ottimisti e soprattutto sereni, è un ottimo driver per distendere il mood della squadra, e ottenere risultati migliori e maggior riconoscenza.