“CANGIARI” in dialetto calabrese vuol dire cambiare.
Di sicuro, prima di ogni altra cosa, capace di un cambiamento di immagine di un intero territorio, la locride calabrese, ha rappresentato sulle passerelle delle sfilate milanesi, Vincenzo Linarello.
Il Presidente del Gruppo Cooperativo GOEL e CEO di CANGIARI, primo brand etico-sociale del panorama della moda di fascia alta in Italia, ha innovato e stravolto adottando un nuovo punto di vista.
LEADER SOLIDALE che in un nostro post abbiamo ridisegnato come espressione propria delle belve feroci e dei selvaggi della creatività, di cui era un esponente illustre nella pittura Matisse, l’esperto di CSR di questa intervista è il rappresentante di una realtà imprenditoriale di successo “capace di risollevare o sgravare l’anima, vincere la pesanteur esistenziale che quotidianamente ci schiaccia.”
Lo strumento della sua arte non è un pennello ma un telaio guidato dalle mani esperte di chi fa della tradizione e della cultura nate in terre aspre colpite dalla mafia un fiore all’occhiello del Made in Italy.
Parole d’ordine di questo successo: solidarietà, responsabilità, dignità, sapienza e sostenibilità di un’intera tela sociale che intesse la filiera produttiva e commerciale firmato “CANGIARI” e “GOEL Bio”.
Buon proseguimento!
A cura di Dhebora Mirabelli e Alessio Muccini – Roma, 13.5.2015
Oggi, l’attenzione al sociale ed alla tutela dell’ambiente è un tema di attualità, ma tu con il tuo brand di moda etica di fascia alta ed il Gruppo Cooperativo GOEL, sei stato un precursore in modalità, contenuti e comunicazione. Come interpreti il concetto di business etico e socialmente responsabile nelle tue realtà?
L’idea di business etico deriva direttamente dall’idea di etica che in questi anni abbiamo sviluppato e che in verità viene da una precisa scelta strategica in Calabria nel voler fronteggiare questo sistema fatto di ‘ndrangheta e di poteri occulti.
Attraverso questa strategia abbiamo sviluppato l’idea “dell’etica efficace” così da noi battezzata. Cioè di una etica che non mira solo alla coerenza ed integrità di chi la porta avanti e della azione che viene portata avanti, ma la sua stessa essenza etica si confronta con l’efficacia dei risultati. Il nostro motto è: l’etica non può essere solo giusta ma deve diventare efficace. Perché solo se è efficace è veramente etica. Confrontiamo l’efficacia con l'”altro”, con il disagio dell'”altro”, con la sofferenza dell'”altro”; con quelli che sono i problemi reali. Quindi l’etica diventa efficace, a nostro avviso, solo se si trasforma in capacità di risolvere i problemi ovviamente senza crearne degli altri.
Nel business etico, a nostro avviso, l’etica non viene incorporata solo per nel “piano marketing”, tipico approccio della CSR classica, bensì l’etica diventa elemento costitutivo del prodotto e del processo di produzione.
Facendo diventare l’etica elemento costitutivo del prodotto e del processo produttivo allora si attribuisce una ulteriore competitività al servizio/ prodotto che viene offerto.
Questa è l’idea di business etico che noi abbiamo in mente.
E ovviamente questo porta a far si che l’etica alla fine debba essere presente dappertutto, deve essere presente nel soggetto imprenditoriale, nel processo di produzione e nel prodotto.
Ci fai un esempio pratico di come riuscite a far sì che l’etica sia sempre garantita nel processo di produzione?
Ecco un esempio chiave, se vogliamo didattico, dell’etica efficace: un ramo di GOEL è rappresentato da GOEL Bio (www.goel.coop/bio), una cooperativa agricola che mira a far fronte a due esigenze. Le due esigenze sono: 1) far fronte e contrastare in modo diretto le continue e ripetute aggressioni alle aziende agricole, aggressioni sconosciute o ignorate dai media; perché a differenza delle aggressioni che la ‘ndrangheta fa ad un esercizio commerciale dove si vede la bomba che salta, nelle campagne non si vede. Le campagne sono silenziose, sono scomparse agli occhi della comunità. Quindi di conseguenza questi soprusi vengono ignorati. Queste aggressioni hanno uno schema di progressione, potremmo così definirlo. Prima, si comincia con il bestiame che invade il terreno coltivato (l’abigeato), poi gli incendi e altri danneggiamenti intimidatori; alla fine l’agricoltore ha di fronte due scelte: a) andare dal “capo bastone” locale e chiedere le ragioni di queste azioni intimidatorie A questo punto, capita che questi fingendo la più totale estraneità dirà che se ne occuperà lui perché sicuramente “non è una cosa giusta“, come se in qualche modo non fosse lui stesso a commissionare queste intimidazoni e si trasformasse da autore a protettore che vanta un diritto; b) non scendere a compromessi e decidere di vendere tutto ed andare via. In questo caso direi… oltre il danno la beffa!. La ‘ndrangehta, non fa avvicinare nessun potenziale compratore dell’azienda agricola e dirà all’agricoltore: “Se tu vuoi vendere l’azienda la venderai a noi al prezzo che diciamo noi“;
2) l’altro problema, a cui GOEL Bio voleva dare una risposta concreta è stato violentemente posto all’ordine del giorno dalla rivolta delle arance a Rossano. Dove tutti hanno preso coscienza di questo sfruttamento strutturale nel mercato agricolo degli agrumi.
Le arance arrivano ad essere pagate a 5 centesimi di €/kg ed il problema non è più il padrone che sfrutta l’immigrato clandestino e povero, il problema è che se si è un piccolo produttore calabrese anche ci si auto-sfrutta.
Quindi dovevamo provare a dare una risposta efficace per tutti.
- abbiamo aggregato le azienda agricole aggredite dalla ‘ndrangheta all’interno del territori;
- abbiamo scelto di fare un prodotto esclusivamente biologico, perché ci sembrava che questo rispettasse il consumatore ma anche il nostro territorio e la nostra vocazione dello sviluppo turistico locale;
- ci siamo inventati un marchio che potesse connotare tutta la produzione: GOEL Bio, appunto;
- abbiamo costruito una filiera di distribuzione che cercasse di massimizzare il ritorno sui produttori effettivi. Quindi saltare tutti i passaggi commerciali superflui: ci siamo strutturati in modo che GOEL BIO faccia gli investimenti e poi i macchinari vengano affidati ad i nostri soci. Questo da un lato ci ha evitato di porre un ricarico importate sul prodotto e dall’altro ha fornito ulteriore lavoro ai nostri soci / produttori.
In sostanza, siamo riusciti a fissare un prezzo minimo delle arance a 40centesimi di €/kg. Otto volte in più di 5 centesimi.
Il prezzo è stato fissato insieme ai produttori definendo così la sogli adeguata che consentisse di pagare sindacalmente i lavoratori e permettersi un margine di sviluppo sostenibile per l’azienda.
A fronte di tutto questo, in un processo democratico e partecipato con tutti i soci, abbiamo stabilito un sistema di autocontrollo interno che garantisse il processo etico in tutta la filiera di produzione, ovvero un sistema di verifiche etiche su come il socio opera in azienda.
Questo protocollo etico è parte integrante del contratto di fornitura tra GOEL Bio e i propri soci. Il protocollo prevede che ogni socio accetti ispezioni in azienda a sorpresa, senza preavviso. Se durante uno di questi controlli si trovasse anche un solo lavoratore “non in regola” non solo c’è ovviamente l’espulsione dalla base di GOEL Bio, ma questa clausola etica prevede anche una sanzione di 10 mila € ogni lavoratore “in nero” che opera in azienda. Non vi è possibilità di opposizione e/o rifiuto alle ispezioni e controlli “a sorpresa”. Ad ora i controlli sono in carico a GOEL BIO ma che a breve verranno seguiti da un organismo terzo.
L’etica è inserita dappertutto in ogni passaggio, sia identitario, sia produttivo che distributivo.
Sulla base dell’etica, facciamo anche una selezione, per quanto possibile, anche dei nostri clienti.
Dal punto di vista del consumatore finale il vostro prodotto arriva però con un premium price, vero?
Attraverso questo metodo è vero che il prodotto arriva al consumatore con un premium price, tuttavia il prodotto sta avendo una risposta positiva con l’aumento delle vendite, dimostrazione che l’etica oltre che giusta è anche efficace. Il prodotto offre un valore aggiunto di senso, di partecipazione alla mission di GOEL che noi crediamo sia un valore importante così come l’alta qualità che cerchiamo in ogni caso di garantire.
I controlli sulla filiera ci sembra di capire sposino la logica bottom-up condivisa e partecipata che viene proprio dal territorio in un momento temporale che potremmo definire contestuale alla produzione, giusto?
Esatto
“CANGIARI” si è imposto sulle passerelle milanesi come primo brand di moda etico – solidale: Milano e la Locride, un esempio di permeabilità tra territori?
CANGIARI nasce perché nel nostro percorso abbiamo incontrato diverse giovani donne calabresi che si sono messe caparbiamente in testa di salvare l’antica e prestigiosa tradizione della tessitura a mano.
Pochi sanno che la Calabria ha la più antica tradizione di tessitura a mano risalente alla Magna Grecia: fino a 50-60 anni fa quasi tutte le famiglie calabresi avevano un telaio e tessevano.
Questa florida tradizione è di fatto venuta meno, perché le giovani donne non erano interessate ad apprendere questa arte. Fino ad arrivare al limite dell’estinzione.
A conoscere questa arte erano rimasti in pochi. C’erano molte tessitrici ma poche di loro si potevano definire “Majiste”, erano le figure che, oltre a sapere tessere, sapevano imbastire il telaio a mano: arte molto complessa perché bisognava ricordare a memoria in che ordine matematico passare i 1800 che fili nei “licci” del telaio a mano. La maggioranza di queste majiste non sapeva ne leggere e ne’ scrivere e per ricordare queste programmazioni, che provenivano dalla tradizione grecanica e bizzantina, usavano delle nenie, delle cantilene. In queste erano nascoste le istruzioni sull’ordine matematico di passaggio dei fili nei licci del telaio manuale.
Le giovani donne, alla fine, hanno recuperato queste nenie, tramandate da madre in figlia, e le hanno riportate su carta. Hanno ricostruito o restaurato gli antichi telai per tessere.
A questo punto serviva trovare a questa arte uno sbocco dignitoso sul mercato. Dico dignitoso, perché a livello locale i tessuti si svendevano a dei prezzi attraverso i quali era impossibile pagare equamente il lavoro delle tessitrici.
Ci è sembrato naturale fare il ragionamento che essendo tessuti preziosi dovevano finire ad una fascia di mercato molto alta. Appunto la fascia alta della moda, perché solo questo segmento di mercato poteva essere capace di remunerare adeguatamente le tessitrici.
Un altro aspetto ci affascinava: l’ipotesi di costruire un marchio di moda che fosse anche un potentissimo strumento di comunicazione. E’ pur vero che la maggior parte dei marchi di moda comunica modelli stili ed approcci tutt’altro che condivisibili per noi, però ci siamo detti che lo strumento era potente e potevamo usarlo costruttivamente.
Non solo non abbiamo celato la nostra origine territoriale ma l’abbiamo ostentata il più possibile, scegliendo il marchio “CANGIARI”, che significa “cambiare”. È stata anche un’ occasione per mostrare una diversa e sconosciuta Calabria, non solo ai NON Calabresi, ma anche a noi autoctoni che ci dimentichiamo del valore delle nostre origini e delle nostre tradizioni.
A quel punto ci siamo recati a Milano, abbiamo chiesto il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana, e abbiamo fatto una prima apparizione nel 2009.
Poi abbiamo partecipato ad un bando del comune di Milano ed abbiamo ottenuto un bene confiscato alla mafia che divenne il nostro showroom nel centro di Milano.
Anche qui un altro gesto simbolicamente importante: riprendersi i beni estorti dalla mafia. Loro estorcono i soldi, la vita, la speranza alla gente del sud e poi magari reinvestono nelle regioni del nord. Quindi, anche questo era un segno di riscatto importante: riappropriarsi di qualcosa che in fondo era nostro. Perché è stato costruito o acquistato con il nostro sangue. Abbiamo poi scelto un approccio diverso da quello che altri progetto etici utilizzano: abbiamo puntato alla massima qualità e manifattura, a farci apprezzare non solo perché etici.
Ancora una volta ci imponiamo con il paradigma dell’etica efficace.
L’approccio all’etica al quale si è abituati, soprattutto nel terzo settore, è quello di dire: “questo prodotto magari non sarà bellissimo, non avrà un buon rapporto qualità prezzo, ma tuttavia lo devi comprare ugualmente perché etico.”
L’approccio che volevamo seguire era però un altro. Era quello di dare un altro volto all’etica dicendo: “ammirate questo prodotto, vedete quanto quanto è di qualità, quanto è bello, quanto è eccellente, il motivo di tutto ciò è perché è etico!” Non è eccellente malgrado l’etica, è eccellente proprio perché c’è l’etica dietro.
L’eccellenza cerchiamo di garantirla dotandoci di stilisti importanti. Nella primavera del 2011 entriamo in prestigiose boutique in Italia e poi da li CANGIARI diventa una realtà un po’ per tutti. Fino ad arrivare anche a vendere all’estero: in Cina, Libano, Canada.
Sul back-end produttivo CANGIARI ha fatto una scelta inconsueta. Molti marchi di moda sono “puro software”, ovvero non hanno dietro la struttura di produzione. Noi abbiamo scelto invece di verticalizzare tutto. Quindi, oltre a gestire il marchio e la distribuzione, abbiamo anche la sartoria, i laboratori di confezionamento industriale e la rete di tessitrici, tutto in Calabria!
Nel mentre costruiamo il marchio, la moda, la tendenza, lo stile, progettiamo i capi, gestiamo lo showroom su ampia scala, sul territorio abbiamo avviato una filiera produttiva recuperando i resti di distretti tessili smantellati dal passaggio delle commesse dei marchi italiani nei paesi dell’est e nel sud del mondo. Nuovamente contro-corrente: negli anni 80-90 molti marchi hanno delocalizzato verso est e sud del mondo la produzione, e qui hanno chiuso decine di laboratori: noi abbiamo riaperto o rilanciato dove gli altri hanno chiuso.
Abbiamo individuato altri laboratori esistenti che erano in difficoltà e li abbiamo inclusi nella nostra filiera. La reputazione di CANGIARI ha infatti portato anche commesse conto terzi di alta qualità dando linfa ad altri laboratori artigianali.
CANGIARI è etico non solo perché contiene tessuti a mano e il recupero della tradizione, non solo perché viene fatto da una filiera di imprese sociali con una voglia di riscatto culturale ed economico, ma anche perchè scegliamo di essere pionieri nel tessibile BIO.
Siamo l’unico marchio di moda fascia alta in Italia ad avere tutti propri prodotti biologici certificati con la certificazione GOTS, la più autorevole certificazione internazionale del tessile bio. Sono bio i nostri filati, i nostri tessuti, le nostre colorazioni. Tutto questo ovviamente va a vantaggio non solo del territorio ma anche di chi indossa i capi.
Siamo stati un po’ dei pionieri: quando abbiamo iniziato c’era pochissimo in Italia e oggi, grazie anche alla sensibilità aumentata nei consumatori finali, questa realtà si è sviluppata.