#10 Evila Piva, Politecnico di Milano

Evila Piva, docente di imprenditorialità presso il Politecnico di Milano, è lo #spiritoleader che questa settimana ci accompagnerà nel viaggio alla scoperta della figura dell’imprenditore nel contesto del business odierno. Quali sono le caratteristiche che conducono al successo la sua idea? Di quali strumenti e competenze avrà bisogno?

Perché un’idea, da sola, non basta. Tanti imprenditori falliscono pur avendo una buona idea, conferma Evila Piva. Naufragando anche quando supportati da sufficienti capitali e clienti. Perché? Cercheremo di capirlo proprio attraverso alcuni “epic fails”, casi di insuccesso tanto eclatanti da poterne trarre un insegnamento.

Seguendo il filo logico dell’intervento del nostro #spiritoleader, abbiamo selezionato 10 possibili motivazioni di insuccesso, tanto pericolose quanto ancora molto frequenti, corredandole con diversi esempi concreti.

Le suddivideremo in due distinti post, il prossimo dei quali sarà online tra qualche giorno. Non perdetelo! 

Scarse doti di leadership

L’imprenditore è un leader per definizione, perché genera consenso attorno a un’idea imprenditoriale, la trasforma in impresa e conduce l’impresa al raggiungimento di obiettivi economici e non.

Proprio come un profeta biblico, l’imprenditore indica la via e guida il suo popolo, fatto di dipendenti e stakeholders, verso la terra promessa del successo e del profitto.

Per farlo, però, non basta la solidità dell’idea imprenditoriale, e talvolta neppure quella economico – finanziaria. Se avete letto la splendida biografia di Steve Jobs, scritta da Walter Isaacson, conoscerete bene il traumatico addio del fondatore di Apple alla sua creatura, decisa dall’allora CEO John Sculley.

Soprattutto, conoscerete come andarono le cose in Apple una volta scaricato Jobs. Sculley non fu mai in grado di guidare l’azienda ai fasti degli esordi, dopo qualche anno venne a sua volta giubilato e sostituito da…Steve Jobs. Il resto è storia, quella che ogni giorno teniamo tra le mani e ci permette di comunicare col resto del mondo. In un tap!

Assenza di un business plan strutturato

Creare e far funzionare un business è un po’ come giocare a Risiko. La differenza tra chi vince la partita e chi vede le proprie armate distrutte in pochi turni è in buona parte nella strategia. O, in una terminologia più imprenditoriale, nel business plan.

Prevedere in quale direzione si muoverà l’azienda, quale saranno le sue revenues, e cosa fare nel caso in cui qualcosa andasse storto, è una polizza assicurativa sulla vita della propria idea. Lo sanno bene i dirigenti di Demand Media – ritenuta per qualche tempo una delle start-up più promettenti del panorama web – che avevano pensato di sviluppare il proprio business attraverso dei portali web farciti di contenuti di dubbia qualità ma ottimizzati per apparire nelle prime posizioni dei risultati di ricerca Google.

Ciò almeno finchè Google non ha deciso di cambiare le regole del gioco, punendo le “content farm” con posizionamenti peggiori e chiudere così i rubinetti degli introiti pubblicitari. Risultato: traffico ridotto del 40% e introiti a -66%. Ma quel che è peggio: nessun piano B.

Assenza di una visione strategica di lungo periodo

Dove saremo tra 20 anni? Guideremo automobili volanti? Mangeremo pasti liofilizzati? Riusciremo a viaggiare nel tempo? Se questo fosse possibile, probabilmente il fondatore e dirigente di Polaroid Edwin Land non commetterebbe l’errore fatto negli anni ‘80 (lo stesso di Kodak, peraltro) di trascurare l’avvento della fotografia digitale, ponendo solide basi per il fallimento della sua creatura, arrivato ufficialmente nei primi anni 2000.

Guardare sempre due passi avanti è la lezione che ogni imprenditore deve imparare, a volte anche a sue spese, per far prosperare il proprio business. Se l’idea è buona e la gestione pure, il successo non tarderà ad arrivare. Se però a queste non seguono un’attenta analisi degli scenari futuri e una loro corretta interpretazione, lo stesso successo spiccherà il volo verso altri lidi.

Cattiva scelta del team attorno al quale costruire l’impresa

L’imprenditore è una guida, che esercita la propria leadership su un gruppo più o meno ampio di dipendenti, di collaboratori, di soci.

È quindi vitale, per il successo dell’idea imprenditoriale, che tutti condividano lo stesso spirito, la stessa cultura. Che siano pronti a dare il proprio contributo senza esitare nel sacrificarsi, se necessario. E per farlo, dovranno essere adeguatamente stimolati, incoraggiati, incentivati. Lorenzo Cavalieri, qualche settimana fa, dava interessanti spunti sull’efficace comunicazione nella leadership e sull’imprescindibile “intelligenza emotiva”.

Parallelamente, anche tra collaboratori e soci deve vigere una solida comunione di intenti per definire univocamente la meta, e la strada per raggiungerla. La storia è ricca di successi impensabili costruiti attraverso la costruzione di un gruppo coeso, così come di fallimenti provocati da mancanza di comunicazione.

Ingresso in un mercato troppo affollato o già egemonizzato

Se dicessimo Buzz, o Wave, qualcuno di voi ricorderebbe di cosa stiamo parlando? Probabilmente no, a meno che voi non siate degli enormi estimatori dei prodotti Google. Sono, o meglio erano, due social network, nati a suo tempo per rispondere allo strapotere di Facebook.

Google+, l’ultimo in ordine cronologico, non sta riscuotendo successo al pari dei suoi predecessori (e recentemente il suo capo progetto si è dimesso). Perché? Difficile competere in un mercato saturo e controllato da un social network con oltre 1 miliardo di utenti. Anche se ti chiami Google.

Differenziarsi o cedere il passo, questa la morale per non veder fallire la propria idea imprenditoriale.

Quali ritenete dovrebbero essere le altre 5 ragioni da elencare nel possibile fallimento di una buona idea imprenditoriale? Commentate con noi su #spiritoleader e sui social network!

(2) commenti

  1. Provo ad integrare (in ordine sparso e non di priorità)
    6) Assenza di un set di valori forti e consolidati tali da supportare il team nei momenti di difficoltà. Leadership pertanto come collante tra valori e strategia.
    7) Assenza di un approccio ecologicamente sostenibile, oggi credo che non si possa prescindere da un approccio green
    8) Assenza di un piano “B”, se le condizioni al contorno cambiano, come posso intervenire sulla strategia iniziale. Quindi approccio flessibile e aperto al cambiamento
    9) Assenza di una buona comunicazione interna di come procede il cambiamento (quick wins etc..) e esterna (sfruttando canali tradizionali e non).
    Saluti, Fabio Maggiolo

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    • Ciao Fabio, grazie per il tuo contributo! Lo abbiamo parzialmente integrato nel post odierno, dedicato ad altri 5 possibili motivi per cui un’impresa fallisce (e a come evitare questi pericoli).

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