Ogni anno la rivista TIME celebra con una copertina speciale il personaggio dell’anno. Nel 2006, a comparire in prima pagina fu soltanto un personal computer, sul cui schermo campeggiava una singola parola in lingua inglese di tre lettere: You.
Il personaggio dell’anno eravamo tutti noi. Anzi, nessuno di noi in particolare. Era Internet, la tecnologia che ha avvicinato e fatto conoscere persone tra loro agli antipodi, geograficamente e non. Che ha creato link, ipertestuali e virtuali, che spesso si sono trasformate in legami reali. Nella vita privata, e in quella professionale.
Proprio su quest’ultima vogliamo soffermarci. Capendo meglio questo cambiamento, interpretandolo e sfruttandolo a nostro vantaggio. Lo facciamo grazie allo #spirtoleader di questa settimana, Domitilla Ferrari. Social Media Strategist per Mondadori, blogger e autrice di Due gradi e mezzo di separazione (Sperling&Kupfer), nel video offre diversi spunti interessanti su come comunicare efficacemente online, nella doppia sfera professionale e privata.
Approfondiamone alcuni.
Il mio brand online sono io. Nel bene…e nel male!
Scagli la prima pietra chi non ha mai sbirciato il profilo online di una persona appena incontrata, o googlato il nome del proprio nuovo collega per scoprire “chi è”, almeno online.
Il punto è proprio questo: la facilità di accesso all’informazione ha reso semi automatica la ricerca su ciò che ci riguarda, uno strumento spesso utilizzato dalle aziende nella selezione dei propri candidati. Perché il curriculum dice chi siamo dietro una scrivania, ma al di fuori dell’ufficio?
“Se una persona decide di rendere pubbliche certe foto, che riguardano la sua sfera privata, tutti possono fruire di questo materiale, anche, perché no, l’azienda che si trova a promuovere una selezione” affermava qualche anno fa l’head hunter Giordano Fatali in un articolo sul Sole24 Ore. Frase che ben racconta quanto Internet sia diventato a sua volta un’idra dalle tante teste: quella dello svago, della sfera professionale, delle virtù e dei vizi…
Per maggiori dettagli potete chiedere a Justine Sacco (ex) PR per la InterActiveCorp, che qualche mese fa ebbe la splendida trovata di pubblicare un tweet di stampo razzista prima di imbarcarsi sull’aereo che l’avrebbe portata in Sud Africa. Risultato: un’ondata di indignazione “social”, un account cancellato in fretta e furia, un altrettanto repentino licenziamento in tronco.
L’ammonimento di Domitilla Ferrari è valido oggi più che mai, benché la recente sentenza sul “diritto all’oblio” della Corte di Giustizia Europea abbia un potenziale devastante nel cambiare rapidamente gli scenari e ridare la privacy perduta:
Le regole sono quelle che manteniamo quando comunichiamo di persona con gli altri. Una volta deciso cosa gli altri non devono sapere di me, saranno quelle le cose che eviterò di condividere, su qualsiasi social network, impostando la privacy scegliendo le persone con cui vogliamo condividere e non condividere i nostri fatti. Nessun posto è comunque segreto, basta uno screenshot per condividere anche qualcosa estratto da una chat privata.
Dal biglietto da visita al “ci sei su LinkedIn?”
Avanti internet, la nostra rete di relazioni ricalcava grossomodo la nostra agenda telefonica, anch’essa poi digitalizzata con la diffusione dei telefoni cellulari.
Dopo Internet, quel centinaio di numeri appuntati metodicamente su carta o su foglietti volanti è diventato un intricato network di migliaia di relazioni, personali e professionali. Per alcuni il pericolo è lo “svilimento” delle relazioni con connessioni sempre più lasche. Per altri l’opportunità di arrivare a chi, qualche anno fa, neppure avremmo potuto sognare di avvicinare.
Soprattutto, per mettere in mostra il meglio di sé in un’ottica di personal branding. Il successo di LinkedIn, social network dedicato alle relazioni professionali (la cui storia è raccontata in una bella intervista ad alcuni dei suoi personaggi chiave su Business Insider) , è il miglior ritratto della generazione “social job network”.
Di chi dedica importanti parti della propria giornata a esserci, a tessere relazioni, a partecipare, a condividere informazioni e conoscenza.
Ed è proprio la parola “condivisione”, per Domitilla Ferrari, la chiave per il successo sui social network:
condividere le conoscenze serve a creare una rete e a farla crescere, perché ogni volta che racconto qualcosa che so, a persone che ne traggono giovamento, accrescono il mio network, che diventa più forte così come la base di conoscenze sulle quali posso fare affidamento, e quando ho bisogno di un consiglio so a chi poterlo chiedere. È ormai sciocco tenere delle informazioni per sé, utili a far crescere la collettività.
Può significare aprire un blog per comunicare la passione per il proprio ambito professionale (e non), o suggerire alla cerchia dei contatti la lettura di un articolo interessante. O ancora, segnalare su LinkedIn le competenze di un collega meritevole.
La condivisione genera sempre valore e, in pieno principio karmico, il valore positivo generato potrà tornare indietro moltiplicato.
L’orto social: meglio piccolo ma ben curato
La tecnologia è nata per creare una rete di connessioni, che bisogna saper coltivare.
Esserci è importante, ma è solo il 10% del lavoro, quello più semplice e statico. Il restante 90% è dato dal muoversi, allargare il proprio network, alimentarlo seguendo i propri interessi e la propria sensibilità, rafforzando i legami che si ritengono più importanti.
Il primo consiglio utile è: evitare di disperdere le energie. Ha senso essere contemporaneamente su decine di social network, se non si riesce a dedicare tempo a nessuno?
La mentalità “all you can eat” di chi si carica il piatto di cibo non riuscendo mai a finirlo (o mangiando fino a star male) è sempre controproducente. Perciò, meglio pochi social, mirati e ben presidiati, che una presenza capillare ma debole.
Il secondo consiglio è: riflettere sull’opportunità di aprire un blog. Senza dubbio uno strumento potente, capace di far trasparire competenza, costruire reputation, allargare il network.
I risultati non sono però immediati né certi, a fronte di uno sforzo decisamente superiore a quello necessario per gestire qualche account social. Se si dispone di poco tempo (o poca ispirazione) e si ha una buona dose di autocritica, meglio il microblogging con Twitter.
Terzo e ultimo, ma non per importanza: attenzione alla privacy. Sui social network la linea che separa privato e pubblico diventa invisibile. Quindi, per citare ancora il nostro #spiritoleader:
mai condividere qualcosa che non si vorrebbe far sapere alla propria nonna!
Se la tematica vi appassiona, e volete saperne di più, consigliamo 2 letture. Personal Branding, di Centenaro e Sorchiotti, edito Hoepli e il già citato Due gradi e mezzo di separazione.
Qual è la vostra opinione sulle tematiche del digital networking applicato alla sfera professionale? Condividetela con noi attraverso un commento o sui social network, hashtag #spiritoleader