Questo nuovo guest post, suddiviso in due parti, è frutto della collaborazione tra Dhebora Mirabelli, alumna del MIP EMBA – Roma nel 2012, e Sandro Calvani, consigliere speciale per la programmazione strategica presso la Mae Fah Luang Foundation (sotto il patrocinio Reale), a Bangkok, Thailandia, Docente di politiche per lo sviluppo sostenibile, affari umanitari e Responsabilità Sociale dell’Impresa all’Asian Institute of Technology e alla Webster University. Direttore emerito del centro ASEAN sugli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite (ARCMDG), partner di ASVI Social Change in Asia. Ecco la seconda parte, se desiderate leggere anche la prima potete trovarla a questo link. E ancora, buona lettura!
Non esiste impresa senza imprenditore!
Anche quando parliamo di società e, quindi, di persona giuridica, in quanto titolare di capacità giuridica generale, ognuno gode di tutti i diritti che non sono legati alla fisicità della persona fisica. Quindi perché non anche dei suoi doveri di fratellanza?
La Dichiarazione fa riferimento a qualsiasi gruppo e persona, anteponendo a questi lo Stato, ovvero, l’espressione piena di sovranità, in ogni ambito, riconosciuta democraticamente dagli individui a favore di una comunità alla quale essi sentono di appartenere.
Tra gli individui e lo Stato, i gruppi, ovvero le comunità responsabili possono essere molteplici, dunque non solo le imprese. Le diverse comunità possono esercitare le proprie attività, scopi, obiettivi e funzioni dotandosi di ragione e coscienza e agendo appunto gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
La globalizzazione ha cancellato le distanze più lontane, ma poi si incarna soprattutto nella demolizione dei muri più locali e più vicini, che ci dividono e insultano i principi della Dichiarazione. Lo stesso spazio virtuale che ci riunisce sotto la parola “comunità globale” genera responsabilità sociale verso ciascun individuo portatore di diritti, sia esso un minore, un handicappato, un anziano, uno straniero.
Secondo la Dichiarazione, ogni individuo in forma singola o associata ha un comportamento responsabile se, nell’esercizio dei propri diritti e libertà, assicura (uniche limitazioni ammesse) il riconoscimento e il rispetto degli stessi diritti e libertà altrui per soddisfare il benessere generale di una società democratica (art.29).
In termini di CSR un comportamento è socialmente responsabile se sostenibile, ovvero se consente la rigenerazione naturale delle risorse utilizzate a beneficio del prossimo e delle generazioni future senza distinzione di sesso, razza, religione, età, cultura, opinione, lingua e genere. Il principio di eguaglianza nella Dichiarazione è sancito nella sua accezione più ampia in tutti i suoi articoli e si manifesta nelle forme di tutela che ogni comunità garantisce al singolo individuo, adottando i principi appropriati di CSR, nell’esercizio di tutte le funzioni e attività della comunità stessa.
In epoca di società umane e mercati universali è evidente dunque che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non ammette amicizie false ed interpretazioni contraffatte. O impresa e società le credono, la amano, la sposano e la rispettano tutta, in tutti i suoi 30 articoli, e dunque accettano di rischiare tutto sui suoi principi, oppure l’inganno si scoprirà presto o tardi. Si può ingannare qualcuno per sempre, e si può ingannare tutti per po’ di tempo, ma non si può ingannare tutti per sempre.