“Qual è il suo più grande punto di debolezza?”
“Mi racconti un episodio in cui ha fallito”.
E ancora, “Descriva sé stesso con tre aggettivi”.
Alzi la mano chi non ha mai fatto o dovuto rispondere ad almeno una di queste domande durante un colloquio di selezione.
E alzi, ancora, la mano chi non ha pensato “serviranno davvero queste domande a trasferire il valore di un professionista?”.
Avevate ragione. La risposta è no.
Secondo uno studio condotto da due studentesse di psicologia all’Università di Toledo, Tricia Prickett e Neha Gada-Jain, insieme al loro docente Frank Bernieri, l’impressione che l’intervistato fa all’intervistatore nei primi 10 secondi, influenza irrimediabilmente l’andamento e l’esito del colloquio. Tradotto, oltre il 99% del tempo trascorso a scervellarsi per rispondere alla raffica di domande è inutile: secondo lo studio condotto, infatti, l’intervistatore decodificherà le risposte ricevute in modo soggettivo per confermare l’impressione ricevuta nei primi istanti.
Un comportamento, questo, piuttosto diffuso, che si rivela dannoso per l’azienda che rischia di lasciarsi scappare i candidati migliori, e poco premiante per i tanti talenti alla ricerca di lavoro e costretti ad affidarsi alla percezione trasferita in un battito di ciglia.
Per non parlare delle aziende che si affidano ai modelli di colloquio non strutturato – per intenderci quello composto da domande informali, spesso afferenti alla sfera personale e comportamentale – che non seguono uno schema ben preciso. Secondo una ricerca pubblicata nel 1998 da Frank Schmidt e John Hunter, questa modalità di intervistare i candidati non è per nulla in grado di rivelarne le reali capacità.
Eppure, ci sono Società che rompono gli schemi in fatto di selezione del personale, rivoluzionando il modo di fare colloqui al fine di individuare le migliori risorse disponibili sul mercato.
Una di queste è Google.
Il suo Senior Vice President of People Operations, Laszlo Bock, nel suo recente libro Work rules! espone e approfondisce quelli che ritiene i metodi migliori per testare la qualità di una nuova risorsa. Analizziamone 3:
1. Work Sample Test
Tradotto: mettere i candidati di fronte ad un esercizio simile a quello che dovranno compiere nel loro lavoro quotidiano. Nonostante questo metodo non sia in grado di svelare al 100% la validità di un professionista – perché non tiene conto di variabili importanti come, ad esempio, la capacità di lavorare in team – l’abilità dimostrata dal candidato in sede di colloquio è un valido indicatore della sua smartness.
2. Test cognitivi
Scientifici, rigorosi, strutturati. I test cognitivi misurano il quoziente intellettivo e le capacità logiche e di ragionamento dei candidati. Ma niente illusioni: da soli non sono sufficienti a definire le doti di un candidato.
3. Colloquio strutturato
Niente discussioni a mano libera: il candidato viene sottoposto ad un set definito e strutturato di domande, incentrate sia su eventi lavorativi passati, per testare l’acquisizione di skills necessarie per il lavoro futuro, che su eventi ipotetici, in modo da valutare la capacità di reazione e adattamento del candidato.
Il metodo infallibile? Probabilmente un mix dei 3 approcci sopra descritti.
Peccato che, per gestire un colloquio in questo modo, serva estrema preparazione ed un team di risorse umane molto organizzato: un gap non da poco per la maggior parte delle aziende, alle prese con approcci standard e mediocri.
Per rendere più efficiente il processo di selezione e scongiurare errori, Laszlo Bock ha anche introdotto all’interno della Company regole innovative ed estremamente efficaci per scegliere talenti in grado di portare valore aggiunto.
Una tra queste è quella di sottoporre il candidato all’esame non solo dei suoi superiori, ma anche dei suoi possibili sottoposti, per valutarne le capacità relazionali e mettere alla prova sin da subito le sue doti da leader. Ma non basta: in Google, i candidati vengono anche valutati da dipendenti appartenenti a Direzioni differenti da quella di destinazione.
Il motivo? Avere un giudizio imparziale e quanto più oggettivo, in termini di soft skills del possibile nuovo collega.
Mauro Vidal
Per la selezione del candidato è necessario un team di professionisti che non tutte le aziende hanno e si possono permettere. La differenza tra le aziende “eccellenti” e le altre si percepisce proprio da come l’azienda imposta la selezione del personale e quanto investe in risorse finanziarie e formazione sulla struttura RU deputata a gestire la selezione del personale.
La selezione del personale nelle aziende “eccellenti” non si riduce a un semplice colloquio anche se ben strutturato; ma è un vero e proprio processo che implica il coinvolgimento anche di altre struttura aziendali e ciò necessariamente significa investire in termini di “tempo” da dedicare ai candidati.