Scena uno: al supermercato. Afferriamo il telecomandino posto all’ingresso del negozio, associato con la nostra carta fedeltà, e scannerizziamo il codice a barre di ogni prodotto. Paghiamo in cassa con una carta di credito.
Scena due: in auto. Accendiamo il nostro veicolo, dotato di un sistema GPS, percorriamo l’autostrada, pagando il pedaggio con un dispositivo elettronico.
Scena tre: a casa. Accendiamo il pc, navighiamo sul web, apriamo le pagine di nostro interesse, cercando prodotti o servizi direttamente online.
Cosa unisce queste situazioni tipiche della nostra quotidianità?
Un semplice denominatore: tutte le aziende coinvolte nella nostra customer journey, grazie al costante tracciamento del comportamento di consumo e di stile di vita, hanno acquisito un numero ingente di informazioni.
Con la digitalizzazione della maggior parte delle attività di ogni giorno, infatti, è possibile ricavare una grande quantità di dati: i famosi Big Data.
Un concetto sempre più diffuso nel mondo del business e che è stato da poco riconosciuto come uno dei principali asset competitivi di una Company, in grado di dare un boost incredibile al successo di ogni impresa.
Da questa breve introduzione del concetto possiamo trarre la prima regola sui Big Data: non esistono più segreti o zone d’ombra, oggi tutte le aziende conoscono alla perfezione i propri consumatori grazie ad un volume sconcertante di dati che rappresentano un vero e proprio tesoro ai fini del business.
Ecco la seconda regola dei Big Data: decodificare le informazioni nelle mani delle aziende è la chiave di volta per strutturare strategie commerciali e di marketing davvero lungimiranti e vincenti, in linea con le aspettative concrete dei consumatori.
Quasi ogni azienda, dunque, possiede al suo interno database infiniti di informazioni sui propri clienti o sul mercato in cui opera. Il problema non è quindi come incamerare ancora più dati, ma come leggerli e decodificarli.
Ed ecco che arriviamo alla terza regola sui Big Data: è sempre più critico per un’impresa trovare professionisti in grado di trasformare questa massa di numeri in informazioni comprensibili e chiare.
Chi sono gli ammaestratori dei Big Data? In gergo chiamati “data scientists”, questo nuovo profilo professionale richiede grande dimestichezza analitica, nozioni di programmazione ed una straordinaria visione strategica. Una figura sempre più ricercata dalle aziende di tutto il mondo e che, ad oggi, è ancora una risorsa scarsa. Una recente ricerca di Accenture ci offre qualche numero utile per delineare il fenomeno: 39.000 sono stati i nuovi posti di lavoro per data scientists richiesti nel 2015 dal mercato statunitense; meno di 9.000 sono stati i professionisti reclutati e conformi alle richieste. Ciò significa che, solo negli USA, ci sono 30.000 posti di lavoro vacanti in fatto di Big Data. E in Europa? Secondo la European Data Science Academy, entro il 2020 la richiesta di Big Data Analyst crescerà del 160%.
Un’opportunità da cogliere al volo investendo in formazione!
Tra le Business School che hanno scommesso su questa nuova figura professionale c’è ovviamente il MIP che, all’interno dei programmi MBA approfondisce il tema dei Big Data aiutando i leader del futuro a diventare professionisti competenti e incredibilmente appetibili sul mercato del lavoro.