Il”Piano per i diritti umani in Italia” è la campagna di Amnesty International con l’obiettivo di migliorare la protezione e tutela dei diritti fondamentali nel nostro Paese.
Una vera e propria lista di richieste e raccomandazioni alle autorità italiane, articolate in 10 punti considerati “prioritari”.
Tra i 10 punti quello che in questa intervista vogliamo approfondire con il Responsabile del Coordinamento Diritti Economici Sociali e Culturali dell’organizzazione, l’Avv. Gerardo Romei, è il punto 8: “imporre alle multinazionali italiane il rispetto dei diritti umani”
Dhebora Mirabelli è responsabile del Focal Point Corporate Accountability nella normativa italiana e comunitaria da marzo scorso e ha avuto modo di apprezzare impegno e complessità nella gestione e nell’attuazione del lavoro volontario in Amnesty.
E’ di questo e molto altro che parleremo con l’Avv. Gerardo Romei, ormai da più di 5 anni espressione di una leadership socialmente responsabile in un contesto particolarmente complicato ma nello stesso tempo stimolante come Amnesty International.
Buona lettura a tutti!
Alessio Muccini
Intervista di Dhebora Mirabelli
1 – Avv. Gerardo Romei, in premessa, si è fatto accenno al “Piano in 10 punti” di Amnesty. ci spiega nel dettaglio di cosa si tratta e la valenza di questo documento a livello
politico e sociale?
Il “Piano” è la continuazione dell’Agenda in 10 punti che Amnesty lanciò a gennaio 2013, un mese prima delle elezioni politiche. Un vero e proprio “programma di riforme” incentrato sui diritti umani, con richieste articolate per temi prioritari.
L’ organizzazione chiese ai leader politici ed a tutti i candidati e le candidate di esprimersi chiaramente su ciascun punto, impegnandosi con l’ elettorato ad attuare l’Agenda. Il documento fu sottoscritto dai leader di tutte le forze politiche che hanno composto il governo Letta e dal partito che attualmente guida il nuovo esecutivo, nonché da 118 parlamentari eletti e attualmente in carica.
Terminate le elezioni l’Organizzazione ha continuato la sua azione affinché gli impegni presi si traducessero in atti concreti. Per questo è stato lanciato il “Piano per i diritti umani in Italia”: una vera e propria campagna di mobilitazione basata sui 10 punti dell’Agenda con il preciso obiettivo di spingere le autorità italiane a compiere tutti i passi necessari per migliorare la protezione e tutela dei diritti umani nel Paese.
2 – Tra i punti vi è “Imporre alle multinazionali il rispetto dei diritti umani”, come esercitate questo ambizioso impegno in Italia? Quali i casi più interessanti che a livello nazionale ed internazionale state seguendo?
In linea generale, bisogna considerare che molto spesso l’attività delle imprese ha un impatto negativo sui diritti umani delle persone o delle comunità. Diverse le cause di ciò: scarsa lungimiranza, assenza di adeguata pianificazione, scelte deliberate.
A “facilitare” tali violazioni si aggiunge l’ assenza o la lacunosità di normative nazionali ed internazionali che impongano alle imprese di rispondere delle violazioni dei diritti umani di cui si rendano autrici o complici.
Considerata tale situazione, l’azione di Amnesty è diretta sia alle imprese, sia ai governi ed alle istituzioni internazionali. Alle imprese si chiede di valutare preventivamente e monitorare efficacemente tutti gli impatti delle proprie attività sui diritti umani.
Ai governi ed alle organizzazioni internazionali il Movimento chiede di adottare normative che impongano alle imprese degli specifici obblighi riguardanti il rispetto dei diritti umani. Tali obblighi dovrebbero essere corredati da adeguate sanzioni ed applicabili anche alle attività condotte all’estero. È necessario inoltre che i governi garantiscano l’ accesso al proprio sistema giudiziario anche ai cittadini di altri Paesi che abbiano subito violazioni da parte di imprese domiciliate sul proprio territorio.
La necessità di rafforzare gli obblighi delle imprese in materia di diritti umani riguarda anche l’Italia. Il nostro Paese è sede di aziende il cui operato può avere effetti importanti sui diritti umani di molte persone, sia in Italia che all’estero: pensiamo all’Eni o all’ Ilva di Taranto, giusto per citarne alcune.
Di fronte a tale situazione, le nostre richieste alle autorità italiane seguono 3 direttrici: l’ adozione di normative che impongano alle aziende italiane il rispetto dei diritti umani in tutti i Paesi in cui operano; obbligare le imprese ad adottare misure di “due diligence”, comprensive di una valutazione regolare, anche preventiva, dell’impatto delle proprie operazioni sui diritti umani; condizionare al rispetto dei diritti umani il sostegno dell’Italia alle aziende.
Tra i casi più interessanti che abbiamo seguito a livello internazionale, mi piace ricordare quello della Vedanta Resources. Questa multinazionale britannica mirava a realizzare una miniera di bauxite nello stato dell’ Orissa, in India. Come documentato da Amnesty, la realizzazione della miniera avrebbe fortemente pregiudicato il diritto alla salute, al cibo ed all’acqua dei Dongria Kondh, una comunità tribale che vive su quel territorio. L’inquinamento dell’acqua e dell’aria collegato all’attività estrattiva avrebbe infatti pregiudicato la salute dei Dongria Kondh e li avrebbe privati delle risorse necessarie al proprio sostenamento. La battaglia per i diritti dei nativi, cominciata nel 2008, si è conclusa positivamente: il 18 aprile 2013 giorno la Corte suprema Indiana ha stabilito che i dongria khond avrebbero avuto la la decisione finale sulla realizzazione di una miniera di bauxite che avrebbe dovuto divenire operativa su 670 ettari di terreno delle loro colline.
Interpellati sulla vicenda, la comunità dei Dongria Khond ha definitivamente bocciato il progetto della miniera.
Molto importante è inoltre l’azione per contrastare le violazioni dei diritti umani subite dalle popolazioni del Delta del Niger a causa dell’attività delle compagnie petrolifere, tra cui la “nostra” Eni.
3 – Ci parli dell’azione che Amnesty segue sul caso ENI.
Come anticipato, si inserisce nel quadro di un’azione internazionale di contrasto alle violazioni dei diritti umani commesse dalle compagnie petrolifere operanti nel Delta del Niger.
Il Delta del Niger è una delle regioni più ricche di petrolio al mondo. Per questo motivo, da decenni in quella zona sono operative le principali compagnie petrolifere: Eni, Total e Shell.
L’estrazione del petrolio ha causato però nella regione un fortissimo inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo.
Ciò è dovuto sia alle centinaia di fuoriuscite di greggio che si susseguono costantemente, sia a pratiche collegate all’attività estrattiva, come quella del gas flaring.
Con specifico riferimento ad ENI, l’azienda ha riportato ben 349 fuoriuscite di petrolio nel 2014. Nei primi tre mesi del 2014 ha dichiarato ben 44 fuoriuscite di petrolio nel delta del Niger equivalenti a oltre 1212 barili di petrolio sversati.
L’azienda, come tutte le altre compagnie petrolifere, continua ad attribuire la stragrande maggioranza delle fuoriuscite di petrolio ad operazioni di sabotaggio e furto. Tuttavia, in moltissimi casi la vera causa delle fuoriuscite è individuabile nelle condizioni di cattiva manutenzione in cui versano gli ormai vecchi oleodotti. A ciò bisogna aggiungere le gravi lacune nel processo d’indagine sulle fuoriuscite di petrolio, gestito direttamente dalle compagnie petrolifere, e la “lentezza” con cui le stesse aziende adempiono ai loro obblighi di bonifica dei territori.
Dal 2009 Amnesty International Italia è impegnata in un dialogo con l’azienda sull’impatto delle sue attività sull’ambiente e i diritti umani nel delta del fiume Niger, in Nigeria.
Negli ultimi anni, questo dialogo si è evoluto in un’attività di “azionariato critico”: in qualità di titolare di un’azione, l’Organizzazione interviene direttamente all’Assemblea generale degli azionisti di Eni per sottoporre al Consiglio di Amministrazione le proprie preoccupazioni e richieste. Queste ultime sono numerose e ben articolate: dalla richiesta di diffusione delle informazioni sulle fuoriuscite di greggio, all’adozione di misure per impedirle, sino alla bonifica dei territori.
4 – Amnesty ha abbandonato l’accezione di CSR per abbracciare quella di CA (Corporate Accountability) Ci spiega differenze sostanziali e motivazioni?
Sebbene se ne discuta da molti anni, la CSR non è ben definita. È un concetto che copre una gamma assai ampia di attività delle aziende: dai progetti filantropici alle dichiarazioni di principio generali su numerose questioni sociali, alla partecipazione alle iniziative volontarie.
Dal punto di vista dei diritti umani, la CSR ha anche creato confusione. Quando Amnesty si confronta con le aziende sulle violazioni dei diritti umani, molte di esse immediatamente evidenziano i loro progetti di beneficenza a riprova del loro impegno per i diritti umani. Tuttavia, l’azione positiva in un settore non esonera alcun attore dalle responsabilità per le violazioni dei diritti umani. Costruire un presidio sanitario per le comunità non deve consentire all’azienda di sentirsi esonerata dall’obbligo di non inquinare l’acqua delle comunità stesse. Troppo spesso questo è esattamente ciò che accade.
L’approccio della CSR ha incluso anche la partecipazione delle aziende alle iniziative volontarie. Per definizione, queste iniziative comprendono una “inclusione con consenso” : conseguentemente, è implicita la possibilità di non aderire.
Pertanto, le iniziative volontarie offrono soltanto alcune protezioni, per alcuni i diritti umani, per alcune persone.
Tuttavia, i diritti umani sono garanzie, non privilegi! Devono essere riconosciuti a tutte le persone, in ogni parte del mondo. Per questo la loro protezione e tutela non può essere rimessa alla buona volontà di aziende che si impegnano liberamente a rispettarli.
Per questi motivi Amnesty International ha optato per un approccio cosiddetto di “Corporate Accountability”. Quest’ultimo termine può essere vagamente tradotto con l’espressione “render conto”: occorre cioè che le aziende siano chiamate a rispondere delle violazioni dei diritti umani. Ciò comporta la necessità di agire sul piano del diritto, adottando normative nazionali ed internazionali che obblighino le aziende al rispetto dei diritti umani.
Nello specifico, il movimento si concentra su tre principali iniziative legali di fondamentale importanza per affrontare l’impatto sui diritti umani da parte delle aziende:
- leggi per obbligare le aziende a fare del rispetto dei diritti umani un dovere – assicurando che le aziende e le comunità sappiano cosa potrebbe accadere;
- leggi per rendere disponibili le informazioni. L’informazione è potere e quando le comunità e gli attivisti sanno cosa sta succedendo, possono mettere in discussione e sfidare le aziende e il governo;
- leggi per colmare le lacune che permettono ad aziende grandi e ricche di sfruttare una regolamentazione debole.
5 – Le attività che gestite direttamente in Italia come si coordinano con gli altri Uffici e organismi presenti in Amnesty su questi temi?
Il Coordinamento Diritti Economici Sociali e Culturali è composto da attivisti volontari esperti e specializzati su questi temi. Pertanto nella organizzazione delle attività di Amnesty su queste tematiche agiamo in stretta collaborazione sia con gli Uffici della Sezione Italiana sia con il Segretariato Internazionale situato a Londra. Offriamo inoltre il supporto ai vari Gruppi Amnesty per l’organizzazione di iniziative sul territorio. Cerchiamo inoltre di collaborare costantemente con altri coordinamenti specializzati su tematiche affini, al fine di realizzare iniziative in comune. Offriamo inoltre consulenze e pareri sulle tematiche di nostra competenza alle altre strutture ed organi della Sezione Italiana.
Il coordinamento di tutte le attività avviene principalmente in via telematica, con riunioni via Skype o scambi di mail. Ciò si rende necessario, soprattutto in considerazione del fatto che i componenti del coordinamento risiedono in città diverse. Durante le riunioni, puntiamo molto sull’aspetto della programmazione e della pianificazione. La fattibilità delle azioni e delle iniziative proposte sono sempre vagliate sulla concreta possibilità di ciascuna struttura (coordinamenti, uffici, gruppi) di concorrere alla loro realizzazione.
6 – Quante persone coordina, con quale specializzazione e con quante si interfaccia nell’esercizio dell’impegno in Amnesty all’esterno?
Il coordinamento è composto da 6 persone oltre al sottoscritto. Copriamo tutte le aree di competenza del coordinamento: oltre alla Corporate Accountability, i diritti abitativi, quelli all’istruzione, il diritto all’acqua, etc…Per la maggior parte si tratta di attivisti con alle spalle già una discreta “militanza” all’interno dell’associazione: ciò li rende maggiormente consapevoli dei meccanismi di funzionamento dell’Organizzazione. Oltre che con gli uffici, sono solito interfacciarmi con le altre strutture e con altre associazioni per la realizzazione di iniziative comuni.
7 – Lei è anche un avvocato molto impegnato. Come riesce a conciliare l’attività di volontariato in Amnesty che esercita con così tanta dedizione e professionalità?
Beh…come avvocato difendo i diritti delle persone, perciò il mio impegno in Amnesty non è poi tanto diverso da quello professionale!
Al di là di tutto, riesco a conciliare gli impegni lavorativi con quelli associativi avendo ben chiaro che il tempo da dedicare ad Amnesty non può andare a discapito di quello per la professione. Per questo cerco di affidare a me stesso ed al mio team dei carichi di lavoro che siano “sostenibili”, realizzabili cioè in base al tempo che ciascuno può mettere a disposizione. In questo modo l’impegno in Amnesty non diventa mai una fonte di stress, ma sempre un momento di “relax”.
Inoltre, devo ammettere che Amnesty ha influenzato notevolmente il mio modo di intendere la professione. Per l’associazione ciò che conta è difendere i diritti umani da chiunque siano violati, a prescindere dal “colore”, dalle simpatie, etc…
E’ questo pragmatismo che cerco di applicare alla professione forense: punto sempre ad individuare le soluzioni giuridiche più utili e convenienti al mio cliente, evitando eccessivi “astrattismi” giuridici. Inoltre il desiderio di tutelare i diritti che Amnesty mi ha inspirato influenza profondamente anche le attività all’interno della categorie forense: sono infatti Segretario nazionale di M.G.A- Mobilitazione Generale degli Avvocati, associazione che si occupa di fornire una tutela di tipo sindacale agli avvocati.
Questa linea di continuità che c’è tra la mia professione e l’ associazione non deve sorprendere poi tanto: in fin dei conti Amnesty è stata fondata da un “collega” inglese!
8 – Considerata la sua pluriennale esperienza in Amnesty ci racconta la “battaglia” o meglio l’attività di studio, ricerca e coordinamento che le è rimasta particolarmente impressa perché le ha dato maggior soddisfazioni?
Senza dubbio l’attività su ENI.
Lo stesso intervento dell’associazione all’Assemblea degli azionisti è preceduto da un grosso lavoro di preparazione svolto congiuntamente dagli uffici, dal coordinamento e dal Segretariato internazionale. Si parte dall’analisi dei documenti aziendali, alla elaborazione delle richieste, al coinvolgimento degli azionisti fino alla preparazione dell’intervento finale. Un lavoro estremamente delicato che ciascuna componente coinvolta svolge con la massima cura e con il massimo rispetto dei tempi programmati.
Un’attività impegnativa ma estremamente stimolante e che ci ha anche dato delle soddisfazioni importanti. Ricordo ancora la gioia immensa che provammo quando giunse la notizia che ENI, in risposta ad una nostra specifica richiesta, pubblicò on line i dati relativi alle fuoriuscite di petrolio nel Delta del Niger.
9 – Mi dice anche quella che le ha lasciato un senso di sconfitta?
Se devo essere sincero…nessuna! Sia chiaro: non siamo supereroi che vincono tutte le battaglie! Semplicemente, le sconfitte di Amnesty, almeno in questo campo, non sono mai definitive. Ritornando all’esempio di ENI, l’azienda ancora oggi non ha esaudito tutte le nostre richieste. Questo però non ci esime dal continuare a reiterarle.
11 – Quali le principali peculiarità e caratteristiche di un’attività di management in un’Associazione come Amnesty International?
La consapevolezza di essere dei volontari e di rapportarsi a dei volontari. Al momento di definire e pianificare le attività del coordinamento, sono ben consapevole che sia io che gli altri membri potremo dedicare ad Amnesty solo una piccola parte del nostro tempo. Ciò influisce sia sulla divisione dei compiti, sia sui tempi di realizzazione. Per essere più chiari, i compiti da svolgere, per quanto delicati, non possono essere tali da “assorbire” completamente i membri del coordinamento; le tempistiche, pur definite, saranno più lunghe di quelle previste se l’attività venisse svolta a tempo pieno.
12 – I 3 motivi per consigliare ai futuri manager e leader l’impegno nella mission di Amnesty International:
- i diritti umani riguardano la nostra vita di ogni giorno;
- proteggerli e tutelarli significa proteggere e tutelare noi stessi e chi ci sta accanto
- ricevere messaggi di ringraziamento dalle persone che hai difeso ripaga più di qualsiasi altra cosa