“Se avrete ancora il coraggio di seguirmi vi assicuro che torneremo a prenderci ciò che stasera abbiamo lasciato qui” così parlò Carlo Ancelotti nello spogliatoio di un Milan a pezzi dopo l’incredibile sconfitta patita nella finale di Champions League 2005 in favore di un Liverpool capace di rimontare, in solo 6 minuti, da 0-3 a 3-3 e di chiudere poi la contesa ai calci di rigore.
Solo 2 anni più tardi la storia gli diede ragione: ad Atene, sempre contro il Liverpool, il Milan conquistò la sua settima, e al momento ultima, Coppa Campioni. 24 mesi in cui Carlo Ancelotti riuscì a rimettere insieme i cocci di una squadra ferita attraverso il lavoro costante, evitando di caricare di stress i giocatori, che risposero a questo stile di conduzione pacato e semplice, con una grande applicazione sul campo, giorno dopo giorno, fiduciosi di poter realizzare il loro sogno.
A dare la spinta a tutto il team per tornare in cima all’Europa furono l’attenzione di Carlo per i dettagli in ogni allenamento, la sua capacità di saper filtrare e gestire le situazioni difficili e stressanti e la dote innata di motivare, consolare e stimolare al punto giusto il gruppo.
Le parole pronunciate da Gattuso qualche giorno dopo la finale vinta di Atene, danno il senso e l’importanza della figura di leader che Ancelotti è stato non solo al Milan ma in tutti i grandi club che ha allenato. Dopo Istanbul il centrocampista calabrese stava per lasciare i rossoneri: se ciò non è accaduto è solo perché “ho creduto al mister che con la sua volontà, con la sua caparbietà ed il suo esempio, ci ha riportati al successo”.
Insomma, un leader di spessore lo si vede nei momenti di difficoltà, i più difficili per la sua carriera professionale: Ancelotti ha dimostrato di esserlo in tutto il suo percorso di crescita internazionale. Una leadership insolita, che si può definire “tranquilla”, quella dello stratega di Reggiolo, che ha fatto della comprensione, dei legami fiduciari e dei rapporti umani la sua chiave stilistica per arrivare al successo.
Mai una parola fuori posto, nemmeno quando la Juventus, dopo 2 secondi posti consecutivi in campionato, gli sbatté la porta in faccia, sollevandolo dal suo incarico ed etichettandolo come “eterno sconfitto”. I più attenti non faranno fatica a pensare a Claudio Ranieri, un altro grande allenatore italiano troppo spesso considerato come un “perdente di lusso” che, invece, grazie alle sue doti di leader inspired ed empatico è riuscito a riscrivere la storia della Premier League e del calcio mondiale con il suo Leicester.
Tornando a Sir Carletto, è il punto di vista con il quale ha affrontato i momenti più difficili della sua ascesa a leader indiscusso del calcio internazionale che fa riflettere. Un esempio è il suo ricordo dell’esonero alla Juventus: “senza quella delusione bianconera, non sarebbe mai arrivata l’occasione del Milan” – il suo trampolino di lancio. Ecco come si trasforma una presunta sconfitta in una grande opportunità.
Un club, quello rossonero, in cui la cultura del lavoro e del rispetto dei ruoli hanno sempre avuto la meglio sulle ambizioni dei singoli – almeno fino a qualche anno fa – in cui Ancelotti riuscì a trasmettere i suoi valori di leadership ispirazionale anche ai più giovani, attraverso la sua tranquillità ed il suo self-control:
“per arrivare al successo è necessario rimanere concentrati sul proprio lavoro, non pensare a ciò che ti accade attorno, e non lasciarsi trascinare dalle repentine emozioni – positive o negative – dovute ai risultati di breve termine”.
Il messaggio è chiaro: tanto nel calcio, quanto in ogni segmento di business, il troppo entusiasmo o l’assoluto disfattismo non sono virtù che portano lontano. Soprattutto per un manager che deve saper gestire e filtrare le pressioni in modo equilibrato, per lasciare lavorare tranquillamente il suo team, senza sbalzi umorali.
È così che Carlo Ancelotti sconfisse la Juventus – in una sorta di rivincita personale – nella finale di Champions League di Manchester del 2003, è così che diventò l’artefice della conquista della tanto attesa “decima” madridista nel 2014, ma è anche così che riuscì a risollevarsi dalla rimonta del Liverpool e dall’esonero, nel 2011, dal Chelsea.
Perché, come hanno scritto Mike Forde e Chris Brady nel libro dedicato allo stile di leadership dell’allenatore emiliano:
“Ancelotti ha una lezione importante per tutti noi. Rimanere umili, perché non importa quanto talento tu abbia, c’è quasi sempre qualcuno che può licenziarti”.